Roald Dahl “ritoccato”, esperti a confronto: meglio spiegare che cancellare

Sta generando indignazione la notizia dell’ennesimo caso di quella cancel culture che pervade ormai ogni aspetto della cultura occidentale, e consistente nella revisione di frasi o termini considerati sessisti, razzisti, veicolo di stereotipi, diseducativi e via elencando.

Di seguito un articolo da Avvenire di oggi, che riflette sul non senso di questa operazione linguistica e sull’opportunità di pensare, invece, ad alternative ben più ragionevoli e intelligenti per educare i bambini e trasmettere loro messaggi positivi.

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Non accenna a placarsi la polemica relativa alla decisione editoriale di sottoporre i libri di Roald Dahl a un’attenta revisione linguistica. Correzioni imposte – questa l’accusa – da un “politicamente corretto” sempre più invasivo e da una cancel culture che tende ormai a non risparmiare più nulla e nessuno. Compreso, ora, lo scrittore britannico di origini norvegesi, scomparso nel 1990 all’età di 74 anni, uno dei più amati per bambini e ragazzi. La presenza di modifiche nelle nuove edizioni verrà d’ora in poi segnalata da una breve nota inserita nel colophon di ciascun libro: « Le parole sono importanti. Le magnifiche parole di Roald Dahl possono trasportare in mondi diversi e far conoscere personaggi meravigliosi. Questo libro è stato scritto tanti anni fa e quindi ne rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa essere apprezzato da tutte le persone anche oggi». Eppure la decisione di Puffin Books (branca del colosso editoriale Penguin), condivisa con gli eredi dell’autore, ha suscitato un polverone. Uno che di violenza censoria sa qualcosa, Salman Rushdie, ancora convalescente dalle conseguenze dell’attentato subìto l’anno scorso a New York (che gli è costato un occhio e l’uso della mano sinistra), ha twittato: «Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura, Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsene».

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Vasilij Grossman, la vita e il destino del Novecento

Vasilij Grossman (1905-1964) durante una corrispondenza dal fronte

Cos’altro si può dire di nuovo di Vasilij Grossman, lo straordinario autore di Vita e destino, uno dei più grandi scrittori del Novecento, testimone diretto di due fra i più tragici eventi del secolo scorso, la Seconda guerra mondiale e la Shoah? Eppure, nonostante la pubblicazione delle sue opere in Europa, successiva alla sua morte avvenuta nel 1964, nei meandri della sua vicenda biografica e letteraria si possono ritrovare non solo particolari sconosciuti, ma anche questioni estremamente rilevanti ancor oggi dal punto di vista storico e filosofico. Lo si intuisce leggendo la biografia scritta da John Garrard, professore di Letteratura russa all’università dell’Arizona, e dalla moglie Alice che bene ha fatto l’editrice Marietti a rimandare in libreria col titolo Le ossa di Berdicev (pagine 488, euro 29), proprio a 40 anni dalla prima edizione di Vita e destino a cura di una piccola casa editrice svizzera, L’age d’homme. In Italia l’opera arrivò nel 1984 grazie alla Jaca Book e di recente Adelphi ne ha stampato una nuova traduzione. Il manoscritto di Grossman era stato sequestrato dal Kgb ma lo scrittore aveva fatto in tempo ad affidarne una copia ad alcuni amici: una di queste, grazie all’aiuto del fisico nucleare poi premio Nobel per la Pace Andrej Sacharov che aveva messo a disposizione l’attrezzatura per fare microfilm del suo laboratorio, era giunta in Europa occidentale. Da allora il nome di Grossman, di cui era già uscito in Germania un altro romanzo, Tutto scorre, si è sempre più affermato non solo nei circoli culturali che diffondevano i samizdat, ma in tutto il mondo letterario, come un autore imprescindibile per capire l’immensità della tragedia del secolo del male.

Grossman era nato nel 1905 a Berdicev in Ucraina, da una famiglia di origine ebraica, ma non aveva praticato granché la sua religione. Anzi, per lungo tempo si era posto convintamente al servizio della patria sovietica e, come giornalista, era stato al seguito dell’Armata Rossa per raccontare la guerra, trascorrendo fra il 1941 e il 1945 più di mille giorni al fronte. «Si può dire – scrivono i coniugi Garrard – che Grossman abbia assistito a più azioni militari di qualsiasi altro corrispondente di guerra in qualunque scenario. Fu presente alle battaglie decisive sul fronte orientale». Non solo a Stalingrado, che pure rappresentò la più dura battaglia corpo a corpo che si ricordi, fra l’autunno e l’inverno del 1942, ma anche a Kursk, probabilmente il più grande scontro di mezzi corazzati di tutta la storia militare, nell’estate del 1943, quando la Wehrmacht fallì nel tentativo di accerchiare l’Armata Rossa. Assieme all’esercito sovietico Grossman attraversò poi l’Ucraina, la Polonia e giunse a Berlino nel 1945, camminando anche nello studio di Hitler. Ma il suo arrivo a Berdicev, nel 1944, in cui sperò sino all’ultimo di poter riabbracciare la madre, rappresentò la prima tappa di un ripensamento. Innanzitutto personale, con la riappropriazione della propria identità ebraica attraverso la presa d’atto della Shoah, che in Ucraina e nei territori russi era stata realizzata attraverso fucilazioni di massa a partire dal 1941. Anzi, con tutta probabilità fu la difficoltosa esperienza della Shoah delle pallottole a spingere i nazisti a puntare sui campi di sterminio con le camere a gas. Grossman aveva pochi mesi prima toccato con mano a Kiev – e successivamente lo stesso sarebbe avvenuto a Treblinka – gli orrori commessi dal Terzo Reich, ma subito si rese conto che gli ucraini avevano collaborato nell’opera di sterminio. Nella sola Berdicev trentamila ebrei, vale a dire la metà degli abitanti, erano stati fucilati e gettati nelle fosse comuni dai battaglioni tedeschi e molti di essi erano stati “venduti” dagli stessi ucraini.

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La cura è civiltà

 
Anni fa uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra.
Ma non fu così.
Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale se ti rompi una gamba muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.
Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi.
Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto in cui la civiltà inizia.

(Ira Byock)
 

Il nome della rosa: ecco il confine tra fiction e storiografia

Dalle incongruenze rispetto al romanzo alla visione grottesca del Medioevo, non bisogna mai dimenticare che l’opera di Eco è narrativa
 
di Andrea Cionci

(La Stampa, 11.03.19)
 
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus: delle cose, alla fine, non resta che il nome puro, il segno, un ricordo (letteralmente, l’idea di rosa è nel nome, a noi restano solo nomi nudi). Il verso che dà il titolo al best seller di Umberto Eco, scritto da un monaco benedettino nel dodicesimo secolo, è una riflessione sulla difficoltà di conservare una traccia oggettiva del mondo reale. Così succede che il romanzo in qualche punto sembri aver conservato solo il nome del Medioevo che racconta e, di conseguenza, che la mega-fiction Rai in onda questi giorni non vada molto oltre il nudo titolo del romanzo da cui è tratta. Col rischio che il pubblico perda di vista un assunto che era centrale per lo stesso Umberto Eco: Il nome della rosa è fiction, narrazione. Chi lo considera altrimenti, rischia di cadere nella disinformazione storica, di restare con un nome nudo e, per di più, fasullo.
 
Le incoerenze col romanzo
Dopo la prima puntata di lunedi 4, che pure ha fatto il pieno di telespettatori sono piovute critiche sulla scelta del casting e sul pur sbandierato rispetto filologico del romanzo. Diversi critici hanno trovato John Turturro fuori parte, del tutto privo di quell’ironico e anglosassone distacco che il Guglielmo da Baskerville interpretato da Sean Connery esprimeva nel film di Jean Jacques Annaud del 1986. I suoi slanci a favore di poveretti e lebbrosi spuntano dal nulla, così come è del tutto posticcio il conflitto del novizio Adso con il padre, barone di Melk. Ed è inventato di sana pianta il suo incontro casuale con frate Guglielmo al quale invece il ragazzo – nel romanzo – era stato consapevolmente affidato dal genitore.

Il frate Remigio da Varagine, un collerico e gaudente ex eretico dolciniano perfettamente ambientato presso l’abbazia, è stato trasformato da Fabrizio Bentivoglio in un pensieroso ex terrorista, pieno di nostalgie per il suo passato rivoluzionario (nel libro troverà solo alla fine l’orgoglio di ricordare il suo passato, invocando tutto il panteon infernale). E’ stato anche criticato l’eccessivo uso degli effetti speciali, che hanno restituito scenari artificiali, non paragonabili a quelli ricostruiti dal vero da Dante Ferretti nel film di Annaud. Gli interni, per quanto artigianali, sono sembrati a vari critici troppo laccati, un po’ «alla Fantaghirò». Continua a leggere

Nasce “Artonauti”, il primo album di figurine per i bambini dedicato alla storia dell’arte

La società Wizart S.r.l.i.s, in collaborazione con la casa editrice La Spiga Edizioni e con il sostegno di Fondazione Cariplo, dànno vita a un nuovo album di figurine appositamente pensato per i bambini dai 7 agli 11 anni: si tratta di Artonauti. Le figurine dell’arte, ed è il primo album in Italia e nel mondo interamente dedicato alla storia dell’arte.

L’album, che sarà disponibile in edicola dal 15 marzo (costerà 3 euro, e insieme all’album ci saranno anche 3 pacchetti di figurine omaggio), non è soltanto una raccolta: è la storia di due bambini e un cane (Ale, Morgana e Argo) che compiono un viaggio nel tempo alla scoperta dei grandi capolavori dell’arte. Le figurine andranno a comporre dipinti, sculture, affreschi, svelandone i particolari. E la cosa interessante è che con il meccanismo dello scambio delle figurine a cui tutti abbiamo giocato, i bambini riusciranno a familiarizzare con le opere e con gli artisti. Oltre alle figurine, ci saranno anche piccoli aneddoti, giochi, indovinelli, e curiosità, in un viaggio che parte dalle grotte di Lascaux e attraverso gli egizi, i greci e i romani, arriverà fino al Novecento passando attraverso l’arte di Giotto, del Rinascimento (Botticelli, Michelangelo, Leonardo, Raffaello), degli impressionisti, di van Gogh. Grazie a questo album, i bambini avranno dunque l’opportunità di cominciare a imparare la storia dell’arte giocando e divertendosi.

L’album è composto da 64 pagine che contengono un racconto introduttivo, 28 illustrazioni, 65 opere d’arte, 20 quiz e indovinelli e 2 pagine di giochi. Per completare l’album occorrono 216 figurine. Ogni pacchetto contiene 5 figurine e una Twin Card. Collezionando tutte le 25 coppie di Twin Card, i bambini le mischieranno coperte per divertirsi con il tipico gioco di memoria, scoprendole due a due. Ciascuna coppia di carte “gemelle” raffigura un’opera d’arte contenuta nell’album. Continua a leggere

Novecento, il “secolo ateo” colmo di magia e spiritualismo

magia novecento

Durante il XX secolo (il cosiddetto “secolo ateo”), rinascono spiritualismi, superstizioni ed esplode la teosofia. O Dio o gli idoli, più la fede cristiana si indeboliva e più cresceva l’attenzione verso la sacralità pagana.
 

Nella sua Storia dell’ateismo (Ed. Riuniti 2000), lo storico francese Georges Minois scrive giustamente che «il XX° è il secolo della morte di Dio: iniziatosi con la scristianizzazione rivoluzionaria, con l’irruzione dell’ateismo popolare (non solo in Francia), con la diffusione dell’ateismo pratico a tutti i livelli, l’Ottocento era finito – in Europa e in America – col trionfo del positivismo scientifico e con le ideologie dette appunto della “morte di Dio”, dal nichilismo a Nietzsche».
 

Il “secolo ateo” fu anche il secolo dei martiri cristiani

Il Novecento vede le prime dittature ufficialmente atee (Unione Sovietica, Cuba, Cambogia, Albania ecc.), l’ateismo scientifico è obbligatorio nelle università degli Stati sottomessi all’Unione Sovietica. E’ anche il «secolo dei martiri», come ha scritto il prof. Marco Impagliazzo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, «un secolo che ha mostrato anche attraverso la vicenda delle persecuzioni contro i cristiani, il suo volto inumano, violento, intollerante, terribile. L’umanità cristiana ha sofferto violenza per la fede, ma ha resistito mite, umile, non violenta, ma allo stesso tempo forte. La grande realtà del cristianesimo del Novecento è stata proprio questa “forza umile” dei martiri». Continua a leggere

La Cattedrale di Sale di Realmonte

Forse non tutti lo sanno, ma in Sicilia c’è una Cattedrale di Sale. A pochi chilometri dal paese di Realmonte in provincia di Agrigento si trova una delle più grandi ed importanti miniere di sale della Sicilia. Circa 25 km di gallerie realizzate su diversi livelli in cui si estraggono oltre al sale da cucina anche kainite e sali potassici.

Il giacimento di Realmonte formatosi circa 6 milioni di anni fa’ è una delle fonti maggiori di estrazione del sale in Sicilia insieme con le miniere di Racalmuto e Pasquasia. All’interno della miniera di salgemma di Realmonte si possono ammirare delle particolarità geologiche che la rendono unica nel suo genere, a circa 75 mt di profondità si trova il “Rosone”, una serie di cerchi concentrici di salgemma ed altri sali colorati che offre uno spettacolo di esplosività naturale mozzafiato, e la “Cattedrale di Sale”, una vera e propria Chiesa consacrata, scavata e scolpita nel sale dagli stessi minatori a poco meno di 100 mt di profondità e circa 30 mt sotto il livello del mare.
 
La Cattedrale di Sale, fascino e suggestione

Per quanto riguarda la Chiesa, dedicata a Santa Barbara protettrice dei minatori, spesso viene erroneamente immaginata piccola ed angusta poiché nelle viscere di una montagna, è al contrario invece ampia tanto da lasciare sorpresi la maggior parte dei visitatori. Con una capacità di 800 posti a sedere, la Cattedrale del Sale è un esempio di arte unica al mondo, ricca di opere e capolavori come i bassorilievi scolpiti nelle pareti di sale che rappresentano Santa Barbara, la Sacra Famiglia e Gesù crocifisso. Troviamo inoltre due acquasantiere realizzate da unici blocchi di sale, una cattedra vescovile, la mensa e l’ambone, una croce ed un cero pasquale. Continua a leggere

La sensibilità ecologica? Nasce nel Medioevo

(UCCR, 6.11.15)
 
Una delle ultime falsità creata durante l’epoca illuminista, e che ancora resiste con forza, è la denigrazione del Medioevo come un periodo “buio”. E’ il potere del luogo comune, delle fiction televisive, dei libri scandalistici a mantenere viva questa immagine che, tuttavia, non ha nulla a che vedere con la realtà.

In quest’epoca, infatti, nacque il metodo scientifico (sotto l’ala della Chiesa), sorsero i primi ospedali (sotto l’ala della Chiesa), vennero fondate le prime università volute o finanziate dai Papi, come Benedetto XIV fece con l’Università di Bologna, favorendo così il primo Istituto di Scienze e donando materiale scientifico di sua proprietà (G. Gandolfi, L’instituto delle Scienze di Bologna, CLUEB 2011, pp. 1-9), per la prima volta le donne poterono assumere posti di responsabilità («ad onta dei luoghi comuni sulle sue chiusure, il Medioevo apriva spazi di presenza femminile ai vertici più alti della gestione della cosa pubblica finanche internazionale, irradiantesi dalle corti e dai monasteri affidati per vicende ereditarie e nobiltà di lignaggio alle loro cure»ha spiegato Angelo Varni, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna).

Con il Medioevo sono nati la laicità e il liberalismo (consigliamo l’ottimo libro di L. Siedentop, docente di Oxford, “Inventing the Individual: The Origins of Western Liberalism”qui recensito). Nel Medioevo è nata l’Europalo ha ben spiegato il noto semiologo Umberto Eco, curatore di quattordici volumi dedicati a «quest’epoca gloriosa», il cui risultato è «quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo, e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre». E’ opportuno quindi precisare, ha proseguito Eco, «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato». Continua a leggere

Da Agostino ad Heidegger, perché è così difficile “pensare” il tempo?

Fin dai presocratici la filosofia ha cercato di “pensare” il tempo. I greci coniarono una mappa di cinque termini. Charles Péguy lo mise al centro di “Véronique”
 
(Il Sussidiario, 29.10.18)
 
Scrive Péguy facendo parlare Clio, la musa della storia: “Negare l’eternità, amico mio, e fondare ogni cosa su di me miserabile, è cosa così volgare che si è resi avvertiti, prevenuti, vaccinati contro una così grossolana operazione. Ma negare invece la temporalità, la materia, la volgarità stessa, l’impurità, negare me, rinnegarmi, me, il temporale, ecco qui il colmo della raffinatezza, la purezza assoluta, la sublime incontaminazione…”.

Ecco, non si può negare il tempo perché significa rinnegare la nostra stessa essenza, il nostro aggancio alla realtà e la nostra umanità più profonda.

Ma cos’è il tempo? Scrive Agostino nell’XI libro delle Confessioni: “Io so che cosa è il tempo, ma quando me lo chiedono non so spiegarlo”. Un punto di partenza questo importante anche per Heidegger quando tratterà del rapporto fra tempo ed esserci e che diventerà per il filosofo tedesco oggetto di conferenze e lezioni universitarie. Ma il tempo è sfuggevole anche perché esistono più tempi che da un punto di vista cognitivo possono sovrapporsi e intrecciarsi.

Del resto, il tempo non è un oggetto ma qualcosa che ha a che fare con la percezione e soprattutto con il modo in cui concettualizziamo il mondo, con cui vi entriamo dentro. Dunque il tempo è qualcosa che è aperto alle interpretazioni ma è anche il modo in cui una cultura costruisce il suo profilo, si autodefinisce. In questo senso è un costrutto sociale, in quanto permette che i diversi appartenenti a una cultura riescano a organizzare e a coordinare fra loro una serie di comportamenti e di attività. Naturalmente questo non significa dire che il tempo non esiste o è un’illusione, è invece vero che gli esseri umani hanno creato dei sistemi di significato per poterlo circoscrivere, sistemi che sono diversi da cultura a cultura e che è difficile tradurre. Questa non coincidenza, questa intraducibilità nell’intendere il tempo è particolarmente problematica quando confrontiamo lingue e culture lontane, sia nello spazio che nel tempo. Continua a leggere

I cristiani e la distruzione della Biblioteca d’Alessandria: storia di un falso mito

La Biblioteca d’Alessandria e il Serapeo distrutti dai cristiani? La leggenda nera è avvallata dal libro “Nel nome della croce” di Catherine Nixey, ma è un falso storico creato da Edward Gibbon nel ‘700.
 
(UCCR, 12.10.18)
 
Nel giugno scorso abbiamo raccolto numerosi commenti critici di affermati storici al nuovo libello anticristiano che ha scatenato le polemiche negli Stati Uniti. L’autrice è una critica d’arte, priva di titoli storici, di nome Catherine Nixey e il suo libro è arrivato velocemente anche in Italia: Nel nome della croce. La distruzione del mondo classico (Bollati Boringhieri 2018).

La Nixey non fa altro che riprendere il lavoro del polemista Edward Gibbon (1737-1794), tentando di incolpare i cristiani di aver ucciso la civiltà classica. Il suo libro è stato recensito per La Stampa da un altro non-storico, Giorgio Ieranò, che insegna Letteratura greca all’Università di Trento e si occupa solitamente di mitologia e di teatro antico. E Ieranò è cascato in pieno nella mitologia anticristiana raccontata dalla Nixey, seppur ritenendola esagerata e negando il «genocidio culturale» che l’autrice vorrebbe addossare ai cristiani.
 
DISTRUZIONE DELLA BIBLIOTECA D’ALESSANDRIA.
Una parte consistente del volume si concentra sulla distruzione della Biblioteca d’Alessandria d’Egitto. Ecco come la riporta Ieranò nella sua recensione«Nel 392 una folla di cristiani inferociti assale il Serapeo di Alessandria d’Egitto, uno dei templi più splendidi di tutto il mondo antico, riducendolo ad un cumulo di macerie e devastandone la gloriosa libreria». Come si evince, la Nixey -al contrario del suo mentore Gibbon-, non parla della grande Biblioteca d’Alessandria ma del Serapeo d’Alessandria (o Tempio di Serapide), due cose diverse come vedremo. Continua a leggere