Le virtù eroiche di Jérôme Lejeune, il genetista che amava la Vita

Nelle scorse settimane abbiamo appreso con gioia la notizia del riconoscimento, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi (su autorizzazione di Papa Francesco), delle “virtù eroiche” di Jérôme Lejeune, il grande genetista francese noto per aver scoperto la Trisomia del cromosoma 21 quale causa della sindrome di Down. Un primo passo, dunque, verso la futura beatificazione per la quale si attende l’eventuale miracolo che dovrà essere compiuto per sua intercessione.

Lejeune nacque il 13 giugno 1926 da una famiglia cattolica, in un comune alle porte di Parigi (Montrouge). Fin da bambino era attratto dalla “scienza”, da ragazzo era rimasto talmente affascinato dal «Medico di campagna» del romanzo di Honoré de Balzac, da voler diventare medico condotto. Per questo si iscrisse a Medicina e si laureò nel 1951. Ma il giorno stesso della laurea, un suo insegnante, il professor Raymond Turpin, gli propose di collaborare ad un progetto di ricerca sulle cause del “mongolismo”, come allora era definita la Sindrome di Down, ed egli si sentì “chiamato” dalle circostanze ad accettare l’incarico.

Lejeune iniziò così la sua ricerca scientifica, partendo dalle conclusioni cui era arrivato nel 1866 il medico inglese John Langdon Down: una teoria che il futuro Venerabile reputava scientificamente infondata e razzista. Per il medico britannico, infatti, il “mongolismo” era una regressione verso forme primitive del genere umano, da attribuire a malattie infettive (tubercolosi, malattie veneree) dei genitori.

Lejeune non accettò mai questa teoria come vera, ed era fermamente convinto che la causa di una malattia di carattere genetico non fosse determinata dal cambiamento della qualità del messaggio ereditario, bensì da una mutazione di ordine quantitativo, ossia da un eccesso o da un difetto di alcune proporzioni del codice genetico.

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La Legge sulle DAT

Risultato immagini per La Legge sulle DATIl 14 gennaio scorso il Senato italiano ha approvato in via definitiva la tanto discussa Legge sulle DAT (disposizioni anticipate di trattamento). Ogni cittadino potrà dunque redigere un documento nel quale indicare le disposizioni in merito ai trattamenti che intende ricevere o rifiutare nel caso non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso.
Questa legge, anche se non lo enuncia apertamente, si configura per tanti aspetti come eutanasica, e si presenta discutibile a cominciare dall’iter alquanto frettoloso con cui è stata votata. Nel mese di dicembre infatti è stata data una incredibile accelerazione all’approvazione, nonostante i molti emendamenti proposti, che avrebbero dovuto essere esaminati singolarmente, e invece sono stati annullati con la strategia del c.d. “canguro”.
Il primo grave problema posto da questa legge è che per la prima volta nel nostro ordinamento viene cancellato il principio di “indisponibilità della vita umana”, un principio assolutamente consolidato, almeno nella cultura giuridica recente, anche per le indicazioni fornite in tal senso dalle diverse Carte dei diritti (a partire da quella dell’Onu del 1948), dalla stessa nostra Costituzione e più in generale da tutto il nostro ordinamento giuridico. Da oggi, in nome dell’autodeterminazione, la vita da bene prezioso e insostituibile (quindi “indisponibile”) quale è sempre stato, diventa bene “disponibile” su cui il singolo o altri possono decidere liberamente fino al punto di mettervi fine. Si dice in sostanza che la morte è un diritto. Ma in verità non esiste un diritto di morire, esiste invece il diritto alla vita, alla cura e all’assistenza dei malati.
Vediamo più da vicino l’insieme dei punti critici per cui la legge sul Biotestamento, così come formulata, non può essere accettata da chi abbia a cuore la giustizia e l’amore per i più deboli. Continua a leggere

Donne e uomini per la Vita nel solco di S. Teresa di Calcutta

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In occasione della Giornata per la Vita, che la Chiesa italiana ha celebrato domenica 5 febbraio, si è svolto a Milano un incontro per riflettere sul tema dell’accoglienza della vita a partire dalla figura di madre Teresa di Calcutta.
L’incontro ha avuto come ospiti: Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore di AsiaNews, e Luca Tanduo, Presidente Movimento per la Vita ambrosiano.
Come tutti sappiamo, Madre Teresa è stata canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre scorso e la CEI ha dedicato il suo Messaggio per la 39ª Giornata nazionale per la Vita proprio alla Santa degli ultimi. «La Santa degli ultimi di Calcutta – affermano i Vescovi – ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce. Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio». «Educare alla vita – si legge ancora nel Messaggio – significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale».
Ecco perché la Parrocchia Beata Vergine Addolorata, ha deciso di organizzare – insieme al Movimento per la Vita Ambrosiano e al Centro culturale San Benedetto – questo momento di riflessione, invitando un appassionato conoscitore della vita di Madre Teresa, come Padre Bernardo Cervellera. Il Padre missionario ha infatti potuto incontrare molte volte la Madre e ha lavorato presso l’Ufficio della Postulazione delle Missionarie della Carità, incontrando molte persone che l’avevano conosciuta.

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Incontro sul Referendum Costituzionale

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Domenica 6 novembre 2016 si è tenuto a Milano un interessante incontro sul tema del Referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre.
Sono intervenute due persone esperte in ambito giuridico-politico affinché ci aiutassero a capire meglio ciò che viene proposto con la Riforma costituzionale oggetto del Referendum: Andrea Orlandi, Consigliere al Comune di Rho (Partito Democratico), per approfondire gli argomenti a sostegno del “sì”, e Roberto Respinti, Avvocato (Centro Studi Livatino), Dottore di ricerca in Diritto Costituzionale, per le ragioni del “no”.
Provo a sintetizzare di seguito entrambe le prospettive:

Le ragioni del SI:
• E’ una buona riforma perché affronta finalmente questioni in sospeso da decenni. Il cambiamento era necessario. Naturalmente non è perfetta, ma va nella direzione giusta.
• Secondo l’attuale dettato costituzionale, le due Camere hanno uguali compiti e poteri. La riforma prevede una diversificazione delle attività e soprattutto la fine del ping pong di leggi tra una Camera e l’altra, evitando lungaggini. Quindi si avrà una maggiore efficienza e semplificazione delle procedure legislative.
• La Riforma produrrà il contenimento dei costi del funzionamento delle istituzioni, grazie alla riduzione dei Senatori e all’eliminazione delle indennità dei Senatori, e anche grazie all’abolizione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), un organo che ha l’obiettivo di fornire consulenza tecnica al Parlamento e di promuovere disegni di legge. Dalla sua fondazione questo ente non ha quasi mai svolto efficacemente il suo operato, risultando un costo inutile nel bilancio dello Stato. Continua a leggere

La mormorazione

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“La mormorazione è un vizio volontario che fa morire la carità” (S. Pio da Pietrelcina).

Uno dei peccati per cui San Pio da Pietrelcina negava l’assoluzione era quello della mormorazione o maldicenza nella quale incorriamo spesso anche noi cristiani. Egli si mostrava severo con coloro che, forse senza rendersene conto del tutto, offendevano così la giustizia e la carità. Disse ad un penitente: «Quando tu mormori di una persona vuol dire che non l’ami, l’hai tolta dal tuo cuore. Ma sappi che, quando togli uno dal tuo cuore, con quel fratello se ne va anche Gesù».
Una volta, invitato a benedire una casa, arrivato all’ingresso della cucina, disse: «Qui ci sono i serpenti, non entro». E ad un sacerdote, che spesso vi si recava a mangiare, disse di non andarci più perché lì si mormorava. Continua a leggere…

Inquietanti teorie bioetiche

Vorrei commentare

Vorrei commentare la notizia, circolata qualche giorno fa, riguardante i due bioeticisti italiani, Alberto Giubilini e Francesca Minerva, autori di un articolo dall’incredibile titolo “Aborto dopo la nascita, perche’ il bambino dovrebbe vivere?” pubblicato su un giornale scientifico di rilievo, il Journal of Medical Ethics.

Di solito quando sento notizie particolarmente surreali come queste, preferisco attendere qualche giorno nella speranza che intervenga nel frattempo una smentita o altro che possa farmi realizzare che si trattava solo di una fake news. Purtroppo la notizia pare sia vera.

I due studiosi, che lavorano all’Università di Melbourne in Australia, scrivono nel loro articolo quanto segue: al pari del feto, il neonato non ha lo status morale di una reale persona umana; sia il feto che il neonato sono da considerarsi solo potenzialmente persone, pertanto l’aborto dopo la nascita (cioè l’infanticidio, ossia l’uccisione di un neonato) dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, inclusi i casi in cui il neonato non è portatore di disabilità. Ci sarebbe l’adozione, ma questa può essere un trauma per la madre; l’infanticidio invece può essere la soluzione migliore perché non dà i sensi di colpa di una scelta reversibile come l’adozione.

Ecco alcune “perle” dell’articolo:
Noi affermiamo” – scrivono chiaro e tondo i due autori – che l’uccisione di un neonato potrebbe essere eticamente ammissibile in tutte le circostanze in cui lo e’ l’aborto. Tali circostanze includono i casi in cui il neonato ha il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile, ma il benessere della famiglia è a rischio”.
Se i criteri come i costi (sociali, psicologici, economici) per i potenziali genitori sono buone ragioni per avere un aborto anche quando il feto e’ sano, se lo status morale del neonato è lo stesso di quello del bambino e se non ha alcun valore morale il fatto di essere una persona potenziale, le stesse ragioni che giustificano l’aborto dovrebbero anche giustificare l’uccisione della persona potenziale quando è allo stadio di un neonato”.

Quanto tempo dopo la nascita è “eticamente lecito” uccidere i bambini? Giubilini e Minerva lasciano questa domanda a neurologi e psicologi, ma secondo loro “ci vogliono almeno un paio di settimane perche’ il bambino diventi auto-cosciente. A quel punto da persona potenziale diventa una persona, e l’infanticidio non e’ piu’ consentito”. [QUI la traduzione in italiano del testo completo].

Come dice il neurologo Gian Luigi Gigli su Avvenire di qualche giorno fa, “sembra il trailer di un film dell’orrore”.  Sono parole a dir poco deliranti, spaventose, anche se si tratta in realtà di teorie non nuove. Altri, infatti, hanno già sostenuto la liceità dell’infanticidio, come il bioeticista Peter Singer (Vedi qui).

Il ragionamento dei due ricercatori, in fondo, non fa una piega: se il feto non è persona, non lo è nemmeno due secondi dopo, per il semplice fatto di essere nato. Cosa cambia tra prima e dopo? Nascituro e neonato non sono dissimili nelle loro qualità essenziali. Non c’è alcuna differenza o stacco qualitativo su cui si possa basare una diversa valutazione morale e giuridica della loro soppressione.

I due “scienziati” teorizzano che la legittimazione diffusa dell’aborto dovrebbe allargarsi all’infanticidio, anziché invertire il percorso comprendendo che la tutela della vita già nata dovrebbe estendersi al non ancora nato. Ma, paradossalmente, confermano senza giri di parole quello che troppi dimenticano: cioè che l’aborto è la soppressione di un essere umano, pari alla soppressione perpetrata dopo la nascita.

Giubilini e Minerva (che sono pro-choice, cioè favorevoli all’aborto) hanno ammesso con candore una verità, anche se aberrante. Tutte le bugie, le tesi anti-scientifiche, gli eufemismi da sempre usati per promuovere l’aborto, ora cadono miseramente, mostrando il vero volto della cultura sottostante: ovvero quella visione materialista che considera la vita umana non più come dono, non più dotata di valore in sé, di quella dignità profonda che la rende intangibile e meritevole di rispetto, bensì come qualcosa di funzionale alla propria utilità o ai propri desideri e, conseguentemente, da manipolare a piacimento.

Nonostante lo scalpore e lo sdegno che suscitano in tutti noi, queste tesi dovrebbero dunque far riflettere.

La speranza è che, come a volte succede, notizie così sconvolgenti possano almeno servire per risalire all’errore di partenza. L’alternativa è la deriva totale verso la barbarie.