È possibile potenziare la memoria?

Riscoprire il valore di imparare a memoria, elaborando il significato, una poesia, una canzone o una preghiera, può essere un ottimo mezzo per difendere quel bene così prezioso

mnemonisti (o memoristi) sono persone dotate di memoria straordinaria, abilmente alimentata attraverso opportune tecniche, di antica origine, comunque alla portata di tutti. Le strategie sono diverse e, spesso, prevedono l’associazione dei dati con luoghi ed eventi. L’applicazione di tali accorgimenti, unito a uno stile di vita sano, permette a tutti, anche ai più rinunciatari sulle proprie potenzialità mnemoniche, di raggiungere risultati migliori, nella vita scolastica, professionale, ludica senza mirare a picchi estremi. Alcuni personaggi storici sono rimasti famosi anche per le loro abilità mnemoniche e per le tecniche che hanno utilizzato per sfruttare al meglio queste doti. Oltre al proverbiale Pico della Mirandola, con cui si appella chi sia dotato di grande memoria, vanno ricordati altri filosofi come Giordano Bruno e Cicerone.

Il filosofo greco Platone osservava: “La scoperta della scrittura avrà l’effetto di produrre la dimenticanza nelle anime che l’impareranno, perché, fidandosi della scrittura, queste si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei e non dal di dentro e da sé medesime”.

Ci sono delle tecniche utilizzate, sin dall’antichità (in cui era, appunto, più difficile trascrivere), per favorire la memorizzazione delle informazioni. La più conosciuta è quella dei “loci”, termine latino per indicare i “luoghi”, definita anche “palazzo della memoria”. Consiste nell’associare l’elemento da ricordare a dei luoghi, possibilmente ben conosciuti, come la casa. Ogni vano riporta poi, alla luce, la nozione che gli è stata assegnata. Le immagini dei luoghi forniscono la possibilità del recupero dell’informazione.

La capacità, dunque, non si dimostra per particolari doti intellettive quanto per quelle strategiche, di abbinare e realizzare un preciso accostamento di tipo visuo-spaziale.

Hebbinghaus, psicologo dell’800, fu il precursore della teoria del recupero seriale della memoria, per cui le informazioni memorizzate per prime (primacy) e quelle per ultime (recency) si ricordano meglio di quelle nel mezzo. Nei suoi studi, stabilì che, il rapporto tra la quantità delle nozioni da ricordare e il tempo necessario per acquisirle, è costante.

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Nel Dna dell’uomo moderno tracce di un ignoto progenitore

 L’uomo moderno conserva le tracce del Dna di ignoti progenitori, comuni a Neanderthal e Denisovani (fonte: Piqsels) © Ansa

Lo ha sottolineato una ricerca degli esperti delle università americane Cornell e Cold Spring Harbor che, grazie ad un particolare algoritmo, hanno potuto analizzare e mettere a confronto il materiale genetico di tre uomini di Neanderthal, di un uomo di Denisova e di due uomini moderni provenienti dall’Africa

Nel Dna dell’uomo moderno sono custodite le tracce del materiale genetico di un ignoto progenitore arcaico, che ha la caratteristica di essere comune a tutti i gruppi umani comparsi sulla Terra, dall’uomo di Neanderthal a quello di Denisova. A sottolinearlo un importante studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Plos Genetics” dai ricercatori delle università americane Cornell e Cold Spring Harbor.

L’utilizzo di un particolare algoritmo

Il lavoro degli scienziati statunitensi si è basato su un particolare algoritmo, messo a punto dagli stessi autori dello studio, che ha consentito di analizzare al computer e mettere in paragone le sequenze genetiche di tre uomini di Neanderthal, un uomo di Denisova e due uomini moderni provenienti dall’Africa. Questo parametro, hanno detto i ricercatori, ha permesso di “identificare segmenti di Dna provenienti da altre specie umane, anche se il flusso di materiale genetico è avvenuto migliaia di anni fa e proviene da una fonte ancora sconosciuta”. Eseguendo un’analisi approfondita su questo materiale genetico, è emerso come circa il 3% del Dna dei Neanderthal derivi da esseri umani più antichi e che l’incrocio si sarebbe verificato tra 300.000 e 200.000 anni fa. Inoltre, proprio l’algoritmo sperimentato ha potuto dimostrare che circa l’1% del Dna dell’uomo di Denisova ha origine da un essere umano ancora più antico e che il 15% circa di un Dna super-arcaico potrebbe essere giunto fino agli esseri umani moderni.

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Scienza e fede, così il dialogo inizia a scuola. Un sito per trovare risposte

Scienza e fede, un rapporto da esplorare

Da oggi online il nuovo portale che risponde alle domande degli studenti delle superiori e dei loro insegnanti. Iniziativa del centro Disf sostenuta dalla Cei

L’ambiente scolastico, nel periodo adolescenziale, rappresenta un luogo-chiave dove il rapporto fra pensiero scientifico e cultura umanistica può essere impostato precocemente e in maniera duratura. Prende le mosse da questa evidenza, il progetto della nuova piattaforma didattica Disf-Educational (CLICCA QUI), promosso dal Centro di documentazione interdisciplinare di Scienza e fede (Disf ) e sostenuto dalla Conferenza episcopale italiana, frutto della collaborazione di un pool di oltre trenta docenti provenienti da tutta Italia.

Il sito, online da oggi, intende dotare le scuole superiori di uno strumento che aiuti ad affrontare i principali temi di attualità interdisciplinare, che richiedono il concorso di diverse materie e prospettive per essere trattati in modo convincente anche sui banchi di scuola.

«A 20 anni dall’apertura del sito disf.org – spiega Giuseppe Tanzella-Nitti, direttore del Centro di ricerca Disf – occorreva progettare uno strumento nuovo, di concezione originale, che partisse dalle scuole e nelle scuole consentisse la graduale navigazione in un mediterraneo sicuro, senza che gli studenti naufragassero in oceani sconosciuti e troppo ampi».

«Sebbene diretta a tutte le scuole, siano esse statali o paritarie, di ispirazione non confessionale oppure religiosa – sottolinea Tanzella-Nitti – la Piattaforma Disf Educational si propone di approfondire, come già il portale disf.org, il rapporto fra cultura scientifica e pensiero cristiano».

L’essere umano è diverso dagli altri animali? In laboratorio c’è posto per Dio? Perché la morte? La mente umana sarà rimpiazzata dall’intelligenza artificiale? Sono queste (e tante altre) le domande a cui gli studenti, ma anche gli insegnanti, potranno cercare una risposta nelle pagine del nuovo portale, che è stato presentato questa mattina con gli interventi di Franco Malerba, primo astronauta italiano e Letizia Davoli, giornalista scientifica di TV2000.

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Le virtù eroiche di Jérôme Lejeune, il genetista che amava la Vita

Nelle scorse settimane abbiamo appreso con gioia la notizia del riconoscimento, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi (su autorizzazione di Papa Francesco), delle “virtù eroiche” di Jérôme Lejeune, il grande genetista francese noto per aver scoperto la Trisomia del cromosoma 21 quale causa della sindrome di Down. Un primo passo, dunque, verso la futura beatificazione per la quale si attende l’eventuale miracolo che dovrà essere compiuto per sua intercessione.

Lejeune nacque il 13 giugno 1926 da una famiglia cattolica, in un comune alle porte di Parigi (Montrouge). Fin da bambino era attratto dalla “scienza”, da ragazzo era rimasto talmente affascinato dal «Medico di campagna» del romanzo di Honoré de Balzac, da voler diventare medico condotto. Per questo si iscrisse a Medicina e si laureò nel 1951. Ma il giorno stesso della laurea, un suo insegnante, il professor Raymond Turpin, gli propose di collaborare ad un progetto di ricerca sulle cause del “mongolismo”, come allora era definita la Sindrome di Down, ed egli si sentì “chiamato” dalle circostanze ad accettare l’incarico.

Lejeune iniziò così la sua ricerca scientifica, partendo dalle conclusioni cui era arrivato nel 1866 il medico inglese John Langdon Down: una teoria che il futuro Venerabile reputava scientificamente infondata e razzista. Per il medico britannico, infatti, il “mongolismo” era una regressione verso forme primitive del genere umano, da attribuire a malattie infettive (tubercolosi, malattie veneree) dei genitori.

Lejeune non accettò mai questa teoria come vera, ed era fermamente convinto che la causa di una malattia di carattere genetico non fosse determinata dal cambiamento della qualità del messaggio ereditario, bensì da una mutazione di ordine quantitativo, ossia da un eccesso o da un difetto di alcune proporzioni del codice genetico.

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Nuovo studio sulla Sacra Sindone: “Non è l’immagine di un defunto, ma di un vivo che si alza”

“La Sindone di Torino mostra l’immagine di una persona nel momento in cui era viva”
 
Il dottor Bernardo Hontanilla Calatayud, dell’Università di Navarra, in Spagna, ha pubblicato sulla rivista Scientia et Fides un articolo inedito sulla misteriosa figura che in modo mai spiegato dalla scienza è rimasta impressa sulla Sindone di Torino. La tesi dell’esperto è che la figura non corrisponda a una persona inerte, come si pensava tradizionalmente, ma a una persona viva che si sta alzando.

“In questo articolo sono esposti vari segni di vita indicati dalla Sindone di Torino. Basandosi sullo sviluppo della rigidità cadaverica, si analizza la postura del corpo impressa sulla Sindone. La presenza di solchi facciali indica che la persona è viva. La Sindone di Torino mostra segni di morte e di vita di una persona che ha lasciato la sua immagine impressa in un momento in cui era viva”.

Questa affermazione si inserisce in modo notevole nella dottrina sulla Resurrezione di Cristo e nelle proposizioni di altri esperti sul momento in cui l’immagine sarebbe rimasta impressa sul telo, come se corrispondesse a una radiazione sconosciuta, emessa dal corpo fino ad allora coperto.

“Nel corso di questo articolo, analizzeremo una serie di segni impressi sulla Sindone di Torino che potrebbero giustificare il fatto che la persona avvolta nel sudario fosse viva al momento dell’impressione della sua immagine”. Continua a leggere

Scienziati choc “Emergenza clima? Ridurre nascite”

Maestra sgrida alunni

Gli scienziati di tutto il mondo chiedono la riduzione programmata della popolazione mondiale a fronte dell’emergenza climatica
 
di Paolo Vites,  Il Sussidiario, 07.11.2019
 
Quando chi si preoccupa del bene e del futuro del mondo propone, come soluzione, la riduzione delle nascite, vuol dire che si è arrivati al suicidio organizzato e pianificato della razza umana. Invece di essere una soluzione è un omicidio. E’ l’allarme lanciato da ben 11.258 scienziati di tutto il mondo in una “lettera di avvertimento” per l’emergenza climatica, che propone come risposta “la riduzione graduale della popolazione mondiale”. Non è un film di fantascienza, ma è la scienza, tanto lodata perché dovrebbe risolvere ogni problema. La lettera è stata pubblicata nei giorni scorsi sulla rivista BioScience, firmata da oltre 11mila scienziati di 153 paesi al mondo. Nella dichiarazione, i firmatari hanno elencato sia la crescita economica che un aumento della popolazione globale come “tra i più importanti fattori di aumento delle emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibili fossili”. Il rapporto chiede “trasformazioni audaci e drastiche riguardo alle politiche economiche e demografiche”. Hitler si sarebbe congratulato con loro, d’altro canto aveva messo in atto un piano analogo. Il documento non tiene minimamente conto dei milioni di poveri, soprattutto bambini, che muoiono ogni anno di stenti e di fame tanto che viene da pensare che l’incapacità di risolvere questo problema faccia parte di un piano preciso per ridurre la popolazione, e non si tiene neanche conto che nei paesi più ricchi la natalità è arrivata in molti casi, ad esempio in Italia, a livello zero. Cioè non si mettono più al mondo i figli. Sotto accusa allora come sempre quei fastidiosi popoli del terzo mondo che nonostante la povertà “si ostinano” a fare figli. La popolazione globale sta aumentando di 80 milioni di persone all’anno, afferma la dichiarazione, ed è un fattore chiave del cambiamento climatico.  Continua a leggere

CERVELLO/ Cosa c’entrano i neuroni specchio con Aristotele ed Edith Stein?

La relazione con l’altro è un caposaldo per lo studio del cervello: siamo cablati “ per essere sociali”. E tuttavia siamo “più” del nostro cervello
 

“Con ciò l’apparizione del mondo si dimostra come dipendente dalla coscienza individuale, mentre il mondo che appare – mondo che resta comunque e a chiunque appaia – si dimostra come indipendente dalla coscienza. Imprigionato nelle barriere della mia individualità, non potrei andare al di là del ‘mondo come mi appare’, e in ogni modo si potrebbe pensare che la possibilità della sua esistenza indipendente – che potrebbe essere data ancora come possibilità – resti sempre indimostrata. Non appena, però, con il sussidio dell’empatia oltrepasso quella barriera e giungo a una seconda e terza apparizione dello stesso mondo, che è indipendente dalla mia percezione, una tale possibilità viene dimostrata. In tal modo l’empatia, come fondamento dell’esperienza intersoggettiva, diviene la condizione di possibilità di una conoscenza del mondo esterno esistente”. (Edith Stein, Il problema dell’empatia).

Non sarebbe concepibile oggi studiare il cervello mettendo tra parentesi l’altro. È quindi necessaria l’intersoggettività, la relazione con l’altro per capire la mente del singolo. È questa la tesi che Vittorio Gallese, professore ordinario di psicobiologia dell’Università di Parma, ha argomentato in modo esaustivo all’incontro dal titolo “La meraviglia del cervello umano”, in un appassionante dialogo con Mauro Ceroni ed Egidio D’Angelo, svoltosi nella seconda giornata del Meeting di Rimini.

Le neuroscienze hanno conosciuto uno sviluppo notevole negli ultimi decenni. Dall’indagine in merito al contributo del cervello nella creazione di mappe spaziali, all’esplorazione delle modalità attraverso cui la nostra mano riesce ad afferrare un qualunque oggetto, alla scoperta delle proprietà visive, oltre che motorie, dei neuroni. La prova più eclatante di queste ultime è costituita dai neuroni specchio, scoperti agli inizi degli anni Novanta, proprio dal team del professor Giacomo Rizzolatti, di cui faceva parte il relatore, quei neuroni cioè che si attivano non soltanto quando il singolo afferra un oggetto ma anche quando vede un suo simile compiere il medesimo movimento. Continua a leggere

Il microchierismo: le cellule fetali che vivono per sempre nel corpo della madre

È proprio vero che le madri portano il proprio figlio dentro di sé per tutta la vita ma non solo dal punto di vista affettivo, anche in senso puramente biologico. A dirlo non sono i “bacchettoni” pro life ma la scienza!

Stiamo parlando di un fenomeno su cui la comunità scientifica internazionale si va interrogando da tempo ovvero il “microchimerismo” che altro non è che la migrazione di alcune cellule fetali, nel corso della gravidanza, nei tessuti materni. Un fenomeno sorprendente emerso anche da un recente studio dell’Arizona State University, nel corso del quale si è analizzato il cervello di donne decedute, riscontrando che, nel 60% dei casi, esso presentava cellule maschili.

La migrazione delle microchimere fetali avverrebbe attraverso la placenta ma probabilmente anche tramite l’allattamento. Gli scienziati, inoltre, non escludono nemmeno un altro fenomeno sorprendente e cioè che le cellule del bambino possano essere trasmesse ai suoi fratelli più piccoli, sempre tramite la placenta, per via di gravidanze successive. E ancora più incredibile sarebbe la scoperta che riguarda non solo le madri, ma anche le madri delle madri: ogni donna conserverebbe le cellule della propria madre nel proprio organismo, questo andrebbe a creare, di conseguenza, uno stretto legame biologico anche tra le nonne materne e i nipoti. Si ipotizza, per di più, che le cellule della nonna materna abbiano un ruolo chiave nella rigenerazione delle cellule staminali e del sistema immunitario, in quanto una maggiore quantità di queste cellule è stata riscontrata nel sangue di donne sane, rispetto a quello di donne che si erano ammalate di cancro al seno.

Tutto questo dimostra come l’essere umano non sia un’isola senza identità e senza storia, ma è al contrario frutto di importanti legami, innanzitutto biologici: a partire dalla profonda connessione madre-figlio che arriva a determinarlo nel profondo, nelle sue stesse “ossa”, potremmo dire. Continua a leggere

«Siamo fatti di-versi, perché siamo poesia»

di Angela Pittavino
 
Il poliedrico Guido Marangoni, autore del libro “Anna che sorride alla pioggia”, vincitore del premio selezione Bancarella 2018 non delude mai e ancora una volta ha fatto registrare il tutto esaurito nel doppio spettacolo organizzato, in questa occasione, dall’associazione “Flauto Magico onlus” ad Aosta e a Savigliano in provincia di Cuneo.

A Savigliano proprio come ad Aosta infatti un teatro gremito ha accolto lo spettacolo il cui ricavato delle offerte è destinato a finanziare la preziosa ricerca del progetto Genoma 21 del professor Strippoli di Bologna. Una ricerca che potrebbe cambiare in meglio la vita di tantissime persone con Trisomia 21 (detta anche sindrome di Down).

Con leggerezza e ironia il trascinante Guido Marangoni ha raccontato con musica, poesia e brani tratti dal suo libro il mondo che si è aperto ai suoi occhi all’arrivo della piccola Anna. Una bimba con un cromosoma in più e tanta forza in quel suo sorriso da spingere il suo papà a girare tutta l’Italia per cambiare la mentalità e abbattere i pregiudizi.

Guido nel suo viaggio ha incontrato famiglie, studenti e giornalisti e un mattone dopo l’altro sta contribuendo in prima persona a costruire un futuro migliore per tutte le persone con Trisomia 21.

Perché dietro la sindrome, come dietro a qualsiasi diversità, c’è sempre una persona. Una persona “unica” proprio nella sua “diversità”, come ognuno di noi. Da questo nuovo punto di vista la “diversità”, che spesso utilizziamo con accezione negativa, riacquisisce l’originale potenza generativa della parola stessa.

Lo spettacolo magistralmente organizzato dal “Flauto Magico onlus” ha conquistato il gremito pubblico composto da famiglie, insegnanti e amanti della lettura. Continua a leggere

I gemelli socializzano nel pancione

I loro movimenti fanno capire che fin dalle prime settimane cercano di comunicare. E anche di guadagnare spazio.
 
Sì, i gemelli si cercano, si accarezzano e socializzano tra loro fin da quando si trovano nel pancione della mamma. Lo ha rivelato tempo fa uno studio delle Università di Padova, Torino e Parma in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo di Trieste.

I ricercatori hanno monitorato i loro gesti utilizzando l’ecografia 4D, scoprendo così che, a partire dalla quattordicesima settimana di gestazione, i loro contatti non sembrano più essere casuali e dovuti alla vicinanza, ma mirati alla conoscenza reciproca.

Come se volessero accarezzarsi ed esplorarsi, sempre più frequentemente con l’avvicinarsi del parto. I gesti verso la parete uterina o verso se stessi appaiono molto meno delicati e affettuosi.

SPOSTATI! Più recentemente, durante uno studio sulla sindrome da trasfusione feto-fetale (una malattia della placenta che comporta connessioni sanguigne per cui un gemello “dona” il sangue all’altro in modo eccessivo) si è evidenziato anche un altro aspetto della convivenza: quello dello spazio ristretto. Continua a leggere