Christine De Pizan, la prima scrittrice professionista della storia

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Chi è stata la prima donna a vivere del lavoro di scrittrice nella storia? E quando ha vissuto? Si potrebbe pensare che una donna che vive della vendita dei suoi best-sellers sia una cosa recente e invece è una storia che inizia nel medioevo.

Al termine di un intervento su Giovanna D’Arco, il professor Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e volto noto al pubblico della divulgazione storica di SuperQuark, ha infatti citato Christine De Pizan, definendola “La prima scrittrice professionista della storia”. 

Ma chi era Christine De Pizan, prima scrittrice della storia?

Christine De Pizan, prosegue Barbero, ha scritto “per difendere i diritti delle donne contro i luoghi comuni, contro le sciocchezze che la gente dice contro le donne. È una specie di protofemminista”. In questo articolo approfondiamo alcuni elementi della vita di Christine De Pizan.

L’educazione medievale di Christine De Pizan

Cristina da Pizzano, nota come Christine De Pizan, è stata la prima scrittrice professionista della storia. Nata a Venezia, probabilmente nel 1365, suo padre Tommaso era originario di Pizzano (dalle parti di Bologna) e noto medico e astronomo. Fu proprio il prestigio paterno a portare la famiglia di Christine a Parigi alla corte di re Carlo V. A differenza della normale educazione dell’epoca, il padre di Christine volle impartirle una formazione umanistica e letteraria completa. Come emerge dagli scritti della stessa Christine, la donna aveva libero accesso alla Biblioteca Reale del Louvre. Carlo V favorì molto Tommaso De Pizan e la sua famiglia, e Christine crebbe in un ambiente colto e agiato.

Una donna alla guida di una famiglia nel medioevo

Christine sposò Étienne de Castel, futuro cancelliere e segretario del re. Ebbero tre figli, ma dopo appena dieci anni di matrimonio, nel 1390, suo marito morì, quando Christine aveva 25 anni. La morte del marito si aggiunse a quella del padre, scomparso tre anni prima. Morti gli uomini che la sostenevano, Christine, la cui famiglia non era presa in considerazione da Carlo VI come era stato per il suo predecessore, dovette adoperarsi per provvedere ai suoi figli e all’anziana madre.

Quante opere ha scritto e di cosa parlano i libri di Christine De Pizan?

Sono noti a noi dodici opere di Christine De Pizan, tra le quali il già citato La Città delle Dame e una biografia di Carlo V.

Nelle opere di Christine de Pizan un tema ricorrente è la riflessione sull’educazione delle donne e l’esclusione di queste dalla produzione letteraria:

Te lo ripeto, e non dubitare del contrario, che se ci fosse l’usanza di mandare le bambine a scuola e di insegnare loro le scienze come si fa con i bambini, imparerebbero altrettanto bene e capirebbero le sottigliezze di tutte le arti, cosí come essi fanno. (La Città delle Dame, i xxv, pp. 150-51)

Oltre ad essere una scrittrice nel senso “moderno” del termine, per guadagnare Christine dirigeva uno scriptorium laico, una specie di casa editrice nella quale venivano miniate e ricopiate delle opere (la stampa ancora non è stata inventata): questo tipo di lavoro era diffuso anche tra le donne, soprattutto perché non era considerato un lavoro umanistico ma tecnico e umile.

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Nel Dna dell’uomo moderno tracce di un ignoto progenitore

 L’uomo moderno conserva le tracce del Dna di ignoti progenitori, comuni a Neanderthal e Denisovani (fonte: Piqsels) © Ansa

Lo ha sottolineato una ricerca degli esperti delle università americane Cornell e Cold Spring Harbor che, grazie ad un particolare algoritmo, hanno potuto analizzare e mettere a confronto il materiale genetico di tre uomini di Neanderthal, di un uomo di Denisova e di due uomini moderni provenienti dall’Africa

Nel Dna dell’uomo moderno sono custodite le tracce del materiale genetico di un ignoto progenitore arcaico, che ha la caratteristica di essere comune a tutti i gruppi umani comparsi sulla Terra, dall’uomo di Neanderthal a quello di Denisova. A sottolinearlo un importante studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Plos Genetics” dai ricercatori delle università americane Cornell e Cold Spring Harbor.

L’utilizzo di un particolare algoritmo

Il lavoro degli scienziati statunitensi si è basato su un particolare algoritmo, messo a punto dagli stessi autori dello studio, che ha consentito di analizzare al computer e mettere in paragone le sequenze genetiche di tre uomini di Neanderthal, un uomo di Denisova e due uomini moderni provenienti dall’Africa. Questo parametro, hanno detto i ricercatori, ha permesso di “identificare segmenti di Dna provenienti da altre specie umane, anche se il flusso di materiale genetico è avvenuto migliaia di anni fa e proviene da una fonte ancora sconosciuta”. Eseguendo un’analisi approfondita su questo materiale genetico, è emerso come circa il 3% del Dna dei Neanderthal derivi da esseri umani più antichi e che l’incrocio si sarebbe verificato tra 300.000 e 200.000 anni fa. Inoltre, proprio l’algoritmo sperimentato ha potuto dimostrare che circa l’1% del Dna dell’uomo di Denisova ha origine da un essere umano ancora più antico e che il 15% circa di un Dna super-arcaico potrebbe essere giunto fino agli esseri umani moderni.

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Vasilij Grossman, la vita e il destino del Novecento

Vasilij Grossman (1905-1964) durante una corrispondenza dal fronte

Cos’altro si può dire di nuovo di Vasilij Grossman, lo straordinario autore di Vita e destino, uno dei più grandi scrittori del Novecento, testimone diretto di due fra i più tragici eventi del secolo scorso, la Seconda guerra mondiale e la Shoah? Eppure, nonostante la pubblicazione delle sue opere in Europa, successiva alla sua morte avvenuta nel 1964, nei meandri della sua vicenda biografica e letteraria si possono ritrovare non solo particolari sconosciuti, ma anche questioni estremamente rilevanti ancor oggi dal punto di vista storico e filosofico. Lo si intuisce leggendo la biografia scritta da John Garrard, professore di Letteratura russa all’università dell’Arizona, e dalla moglie Alice che bene ha fatto l’editrice Marietti a rimandare in libreria col titolo Le ossa di Berdicev (pagine 488, euro 29), proprio a 40 anni dalla prima edizione di Vita e destino a cura di una piccola casa editrice svizzera, L’age d’homme. In Italia l’opera arrivò nel 1984 grazie alla Jaca Book e di recente Adelphi ne ha stampato una nuova traduzione. Il manoscritto di Grossman era stato sequestrato dal Kgb ma lo scrittore aveva fatto in tempo ad affidarne una copia ad alcuni amici: una di queste, grazie all’aiuto del fisico nucleare poi premio Nobel per la Pace Andrej Sacharov che aveva messo a disposizione l’attrezzatura per fare microfilm del suo laboratorio, era giunta in Europa occidentale. Da allora il nome di Grossman, di cui era già uscito in Germania un altro romanzo, Tutto scorre, si è sempre più affermato non solo nei circoli culturali che diffondevano i samizdat, ma in tutto il mondo letterario, come un autore imprescindibile per capire l’immensità della tragedia del secolo del male.

Grossman era nato nel 1905 a Berdicev in Ucraina, da una famiglia di origine ebraica, ma non aveva praticato granché la sua religione. Anzi, per lungo tempo si era posto convintamente al servizio della patria sovietica e, come giornalista, era stato al seguito dell’Armata Rossa per raccontare la guerra, trascorrendo fra il 1941 e il 1945 più di mille giorni al fronte. «Si può dire – scrivono i coniugi Garrard – che Grossman abbia assistito a più azioni militari di qualsiasi altro corrispondente di guerra in qualunque scenario. Fu presente alle battaglie decisive sul fronte orientale». Non solo a Stalingrado, che pure rappresentò la più dura battaglia corpo a corpo che si ricordi, fra l’autunno e l’inverno del 1942, ma anche a Kursk, probabilmente il più grande scontro di mezzi corazzati di tutta la storia militare, nell’estate del 1943, quando la Wehrmacht fallì nel tentativo di accerchiare l’Armata Rossa. Assieme all’esercito sovietico Grossman attraversò poi l’Ucraina, la Polonia e giunse a Berlino nel 1945, camminando anche nello studio di Hitler. Ma il suo arrivo a Berdicev, nel 1944, in cui sperò sino all’ultimo di poter riabbracciare la madre, rappresentò la prima tappa di un ripensamento. Innanzitutto personale, con la riappropriazione della propria identità ebraica attraverso la presa d’atto della Shoah, che in Ucraina e nei territori russi era stata realizzata attraverso fucilazioni di massa a partire dal 1941. Anzi, con tutta probabilità fu la difficoltosa esperienza della Shoah delle pallottole a spingere i nazisti a puntare sui campi di sterminio con le camere a gas. Grossman aveva pochi mesi prima toccato con mano a Kiev – e successivamente lo stesso sarebbe avvenuto a Treblinka – gli orrori commessi dal Terzo Reich, ma subito si rese conto che gli ucraini avevano collaborato nell’opera di sterminio. Nella sola Berdicev trentamila ebrei, vale a dire la metà degli abitanti, erano stati fucilati e gettati nelle fosse comuni dai battaglioni tedeschi e molti di essi erano stati “venduti” dagli stessi ucraini.

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Quando il Bambino Gesù era il rifugio degli ebrei perseguitati dai nazisti

Dormivano in corsia, aiutati da medici e infermiere. Grazie all’extraterritorialità di cui gode l’ospedale del Vaticano

ROMA – «Una volta occorreva nascondere di corsa una coppia di coniugi ebrei. In pochi secondi lui diventò un frate confessore, lei una fedele che si confessava. I nazisti passarono oltre il confessionale e naturalmente non li scoprirono». Mancano documenti sonori, di questo ricordo. Così come non esiste un diario lasciato scritto. Ma è uno dei tanti episodi che arricchivano la straordinaria memoria personale di suor Margherita, all’anagrafe Maria Cipolloni, nata ad Acuto (Frosinone) il 16 gennaio 1900 e infermiera nelle corsie dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Era una delle Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli e rimase al Gianicolo fino al 29 aprile 1962. Sarebbe morta una ventina di anni dopo, conservando sempre dentro di sé i volti e le voci di quella tragica stagione tra la fine del 1943 e il maggio 1944. Di quando i nazisti che occupavano Roma si macchiarono dell’orrendo delitto del 16 ottobre 1943, cioè la razzia degli ebrei romani nell’area dell’antico ghetto, continuando la persecuzione casa per casa e quartiere per quartiere fino al maggio 1944.

Molti ebrei, impossibile quantificarli proprio perché manca una documentazione certa e soprattutto perché c’era un continuo ricambio di arrivi e di partenze per altri nascondigli, trovarono rifugio al Gianicolo, all’Ospedale Bambino Gesù che godeva dell’extraterritorialità perché di proprietà della Santa Sede. Arrivavano spesso famiglie intere con i bambini, a loro volta poi confusi tra i piccoli ricoverati. Tra il personale dell’ospedale c’era appunto suor Margherita, poi diventata amica e confidente della consorella suor Vincenza. È lei oggi a raccontare e a descrivere episodi come questo: «Suor Margherita ricordava almeno due perquisizioni dei tedeschi, nonostante l’extraterritorialità. Ma non trovarono mai nessuno. I rifugiati dormivano un po’ ovunque. Nel campanile di Sant’Onofrio. O anche intorno all’altare della cappella, accanto alla balaustra». Molti ebrei si travestirono da medici indossando il camice bianco. E in effetti alcuni di loro erano davvero medici. Quando si temeva una perquisizione, gli ebrei rifugiati lasciavano immediatamente le corsie dell’ospedale e raggiungevano un rifugio segreto realizzato nella terrazza più alta nella costruzione centrale dell’ospedale. Si arrivava fin lassù con una scaletta metallica che spariva immediatamente. Poi, finito il pericolo, suonava una campanella che nessun nazista avrebbe scambiato per un codice segreto, visto che suonava in un ospedale di proprietà del Vaticano.

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27 Gennaio – Appunti per non essere banali

Una delle domande capitali da cui si dipana la filosofia politica di Eric Voegelin è: perché in Europa è accaduto il nazionalsocialismo? E soprattutto perché l’Europa non è stata capace di riconoscerlo come un male, neutralizzarlo, prima della sua ascesa e della sua imponente azione politica?

Allora la risposta deve seguire un percorso storico, ossia rintracciare la causa della malattia che ha generato le ideologie moderne e quindi il nazionalsocialismo. Voegelin segue un movimento del pensiero che sempre più convintamente segna la chiusura alla trascendenza, ovvero alla visione dell’uomo come Theo-morfes, imago Dei, ovvero sia immagine di Dio.

Con la chiusura alla trascendenza, i principi di riferimento mutano e quindi si vanno a ricercare nella razza, nella classe, nello stato, nell’ideologia. Ad essi si dedica un culto pseudo religioso, tant’è che le ideologie moderne possono essere presentate come delle “religioni politiche”, quindi immanenti, che vogliono realizzare il mondo perfetto a partire dall’inveramento rigido di una idea, magari annunciata da qualche “profeta” e realizzata da un capo carismatico (führer). Chi non accetta questo sequestro ideologico della realtà deve essere eliminato. Ed ecco che il lager, come il gulag sovietico, diventa il mondo parallelo di questa razionale purificazione, laddove i nemici del popolo – concetto che viene fuori negli anni della rivoluzione francese – non potranno più nuocere al progetto del paradiso artificiale.

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Potremo vedere la stella di Natale per la prima volta in 800 anni

CHRISTMAS STAR

Questo Natale potremo vedere in cielo una luce simile a quella che videro i Re Magi. L’ultima volta è accaduto nel 1226, la prossima sarà verso il 2080

Per la prima volta dal Medioevo, un raro allineamento astronomico creerà una luce straordinariamente brillante nel cielo. Viene paragonato alla Stella di Betlemme che guidò i Re Magi da Gesù Bambino.

Il fenomeno avrà luogo il 21 dicembre, durante il solstizio d’inverno, quando Giove e Saturno si avvicineranno per creare uno spettacolo unico in cielo.

Un rapporto di Forbes spiega che la congiunzione tra Saturno e Giove si verifica una volta ogni 20 anni, ma quella di quest’anno sarà unica per la posizione della Terra, che farà sì che i due pianeti sembrino ancor più vicini del solito. Nei giorni precedenti il solstizio, i pianeti saranno visibili e sembreranno avvicinarsi l’uno all’altro.

Nell’emisfero nord la congiunzione sarà più visibile dal 16 al 25 dicembre, nell’emisfero sud si vedrà solo il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno. Quella sera, i due pianeti sembreranno così vicini da assomigliare a una massa enorme. Si creerà una quantità straordinaria di luce che sfiderà quella della luna piena.

Quando bisogna osservare

In una dichiarazione pubblicata dalla Rice University, l’astronomo Patrick Hartigan ha segnalato che l’ultima volta in cui Giove e Saturno sono stati così strettamente allineati è stata il 4 marzo 1226, e ha spiegato che il “pianeta doppio” si vedrà più facilmente sull’orizzonte a sud-ovest.

“Quando il cielo sarà completamente scuro a Houston, ad esempio, la congiunzione sarà ad appena 9 gradi sopra l’orizzonte”, ha detto Hartigan. “Vederla sarebbe possibile se il clima collaborasse e si avesse una vista libera verso sud-ovest”.

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Il razzismo prima del razzismo

Soltanto due ideologie, nell’epoca moderna, sono riuscite a conquistare il consenso sufficiente per proporsi come “mondo nuovo”: il socialcomunismo, che si fonda sulla lotta fra le classi, e il nazionalsocialismo, che si basa sulla lotta fra le razze, auspicando un futuro guidato dagli ariani.

Siccome oggi si sta tornando a parlare e a scrivere, spesso a sproposito, di razzismo, torna utile leggere questo piccolo libro scritto nel 1944 dalla studiosa tedesca di origini ebraiche Hannah Arendt (1906-1975), celebre in particolare per le riflessioni sul totalitarismo.

Il testo descrive il “razzismo” prima del “razzismo di Stato” che conquista il potere in Germania nel 1933 grazie alla vittoria elettorale del partito nazionalsocialista e cerca di conquistare il mondo, avviando la Seconda guerra mondiale (1939-1945).
Nella grande confusione intellettuale che domina l’Ottocento, il «pensiero razziale» è semplicemente una delle tante opinioni correnti diffuse nell’epoca che precede, culmina e prosegue la Rivoluzione Francese (1789-1799).

In questi anni, diversi intellettuali manifestano una particolare attenzione alle differenti “razze” umane, attenzione che assume caratteristiche dialettiche che il cristianesimo aveva superato e debellato nel corso dei secoli precedenti, durante l’epoca della Cristianità. Pertanto un mondo storico implode e si formano diversi “partiti”, corrispondenti non soltanto a ideologie, ma anche a classi. Così i nobili emigrati, costretti a lasciare la Francia, pensano e cercano di organizzarsi come “casta separata” in contrapposizione al Terzo Stato e al mito giacobino della nazione, mentre successivamente il “pensiero razziale” si sviluppa in Germania grazie «ai patrioti prussiani e al romanticismo politico» (p. 27). Continua a leggere

Il nome della rosa: ecco il confine tra fiction e storiografia

Dalle incongruenze rispetto al romanzo alla visione grottesca del Medioevo, non bisogna mai dimenticare che l’opera di Eco è narrativa
 
di Andrea Cionci

(La Stampa, 11.03.19)
 
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus: delle cose, alla fine, non resta che il nome puro, il segno, un ricordo (letteralmente, l’idea di rosa è nel nome, a noi restano solo nomi nudi). Il verso che dà il titolo al best seller di Umberto Eco, scritto da un monaco benedettino nel dodicesimo secolo, è una riflessione sulla difficoltà di conservare una traccia oggettiva del mondo reale. Così succede che il romanzo in qualche punto sembri aver conservato solo il nome del Medioevo che racconta e, di conseguenza, che la mega-fiction Rai in onda questi giorni non vada molto oltre il nudo titolo del romanzo da cui è tratta. Col rischio che il pubblico perda di vista un assunto che era centrale per lo stesso Umberto Eco: Il nome della rosa è fiction, narrazione. Chi lo considera altrimenti, rischia di cadere nella disinformazione storica, di restare con un nome nudo e, per di più, fasullo.
 
Le incoerenze col romanzo
Dopo la prima puntata di lunedi 4, che pure ha fatto il pieno di telespettatori sono piovute critiche sulla scelta del casting e sul pur sbandierato rispetto filologico del romanzo. Diversi critici hanno trovato John Turturro fuori parte, del tutto privo di quell’ironico e anglosassone distacco che il Guglielmo da Baskerville interpretato da Sean Connery esprimeva nel film di Jean Jacques Annaud del 1986. I suoi slanci a favore di poveretti e lebbrosi spuntano dal nulla, così come è del tutto posticcio il conflitto del novizio Adso con il padre, barone di Melk. Ed è inventato di sana pianta il suo incontro casuale con frate Guglielmo al quale invece il ragazzo – nel romanzo – era stato consapevolmente affidato dal genitore.

Il frate Remigio da Varagine, un collerico e gaudente ex eretico dolciniano perfettamente ambientato presso l’abbazia, è stato trasformato da Fabrizio Bentivoglio in un pensieroso ex terrorista, pieno di nostalgie per il suo passato rivoluzionario (nel libro troverà solo alla fine l’orgoglio di ricordare il suo passato, invocando tutto il panteon infernale). E’ stato anche criticato l’eccessivo uso degli effetti speciali, che hanno restituito scenari artificiali, non paragonabili a quelli ricostruiti dal vero da Dante Ferretti nel film di Annaud. Gli interni, per quanto artigianali, sono sembrati a vari critici troppo laccati, un po’ «alla Fantaghirò». Continua a leggere

La festa della donna e l’8 marzo: cosa ci hanno raccontato?

Sin da piccoli ci abituiamo alle ritualità legate alla festa della donna, dalla data prescelta dell’8 marzo al dono simbolico delle mimose, e impariamo a considerarla, tra le varie cose, come la commemorazione di un tragico fatto avvenuto tanti anni fa.

In particolare si racconta che l’8 marzo del 1908 a New York centinaia di operaie siano morte per un incendio scoppiato nella fabbrica di camicie “Cotton” (o “Cottonrs“) e che la giornata internazionale della donna sia nata a seguito di quel fatto.
Un dettaglio raccapricciante spesso ricordato: il proprietario della fabbrica aveva chiuso dentro le operaie, ecco perché non riuscirono a scampare al rogo.
Quello che però è ormai chiaro è che questo evento non si è mai verificato e che la festa della donna poggia in realtà su altre basi.
In realtà una tragedia simile si è davvero verificata a New York, ma il 25 marzo del 1911: in quel caso realmente l’incendio in una fabbrica di camicie, la “Triangle“, aveva causato la morte di 123 donne (ma anche 23 uomini), e anche in quel caso la tragedia era imputabile a condizioni lavorative inaccettabili. In particolare si ripete la storia dei lavoratori chiusi a chiave.
Risulta evidente che la narrazione sull’incendio della Cotton non è altro che un mito fondativo modellato a posteriori sui fatti reali che coinvolsero invece la fabbrica “Triangle” tempo dopo, ma la vicenda della “Triangle” a sua volta non può spiegare la scelta della data dell’8 marzo, visto che in quel caso la tragedia avvenne il 25 marzo. Altri eventi, ancora più lontani del tempo, sono stati invocati per giustificare la data dell’8 marzo, ma in nessun caso l’ipotesi ha retto ad un’attenta verifica.

Oramai è abbastanza facile ricostruire l’iter dei fatti, principalmente grazie a due studiose femministe, Tilde Capomazza e Marisa Ombrosa, che sul finire degli anni ’80 decisero di andare fino in fondo alla questione. Continua a leggere

Il romanzo di Jules Verne sul genocidio dei cattolici in Vandea

il conte di Chanteleine

Jules Verne e “Il conte di Chanteleine. Un episodio del Terrore” (1864), un romanzo poco noto e pubblicato solo 100 anni dopo poiché portò alla luce un episodio nascosto dalla storiografia ufficiale: il genocidio vandeano. Fu l’unica volta che la fede cattolica di Verne venne alla luce nelle sue opere.
 
Il celebre romanziere francese Jules Verne (1828-1905) è forse lo scrittore che più si è lasciato consapevolmente influenzare dalla mentalità positivistica dell’epoca, creando un genere letterario basato sul progresso scientifico-tecnologico, quello che oggi si chiamerebbe fantascienza.

Nei suoi scritti, che hanno influenzato diverse generazioni, c’è sempre una esagerata fiducia nella scienza e nei suoi progressi che risolverà tutti i misteri dell’esistenza. I suoi principali capolavori sono Viaggio al centro della terra (1864), Ventimila leghe sotto i mari (1870) e Il giro del mondo in ottanta giorni (1873). Va tuttavia segnalato che nell’ultima parte della sua vita, Verne manifestò invece un atteggiamento decisamente più cauto, lasciando trasparire una certa dose di pessimismo nei riguardi della divinità del progresso scientifico, allontanandosi di fatto dallo “spirito positivistico” cometano.
 
Jules Verne e “Il conte di Chanteleine”: il racconto del genocidio cattolico vandeano

Una secondo fatto poco conosciuto di Verne è che fu anche l’autore de Il conte di Chanteleine. Un episodio del Terrore (1864), pubblicato in tre puntate. Già dal titolo si intuisce che il romanzo si occupa di uno degli eventi più tragici della Rivoluzione francese, quando i giacobini -guidati dal motto di libertè, fraternitè, egalitè– compirono il primo genocidio della storia moderna, quello ai danni del popolo della Vandea. Il cosiddetto “Massacro dei Lumi“, lo sterminio di un popolo cattolico che non volle piegarsi alla dittatura anticlericale. Continua a leggere