
di Daniele Mencarelli
Esistono vicende capaci di trasformarsi in emblema, sintesi profonda dell’esperienza umana, nel loro svolgersi riescono a toccare ogni sentimento possibile, sino a diventare paradigmatiche della nostra storia. E del nostro destino. La vicenda di Erika De Nardo, la ragazzina che assieme a Omar, suo coetaneo, nell’ormai lontano 2001 uccise a Novi Ligure la madre e il fratellino, parte con le tinte della tragedia criminale, efferata e inspiegabile. Una ragazzina di 16 anni che uccide madre e fratello, che lo fa in modo brutale, assieme al suo fidanzato di un anno più grande.
Tutto il Paese fu attraversato da un brivido d’orrore, si urlò al fatto epocale, un crimine come mai sentito prima. In buonissima fede, in molti diedero alla vicenda i galloni del primato: qualcosa di mai accaduto era successo, un punto di non ritorno.
Invece, nella sua ferocia disumana, nel suo impietoso svolgimento, la vicenda di Erika e Omar è non più di altre accadute prima, e dopo, un triste stigma che si ripete nel corso dei secoli. È il peccato cui poi servirà la vita intera per essere emendato, e perdonato.
Se il male, come spesso accade all’uomo, è l’incosciente e scandaloso punto di partenza della storia, ecco poi, silenzioso e sotterraneo, accorrere il bene. Giorno dopo giorno, nel silenzio assordante della normalità, di piccoli gesti fatti di tenerezza, il bene ricuce e sana, anche laddove non sembra possibile. Come nel cuore di Erika, per molti un pozzo avvelenato, da chiudere, seppellire per sempre.
Il bene non urla, lavora di nascosto, di notte, con riserbo, pudore. Ma ha bisogno di mani che lo incarnino, che lo trasmettano malgrado tutto, che siano presenti quando altre non lo sono. Continua a leggere →
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