Gran Torino

Usa 2008, 116′
Genere: Drammatico
Regia di:Clint Eastwood
Cast principale:Clint Eastwood, Cory Hardrict, Geraldine Hughes
Tematiche: solutudine, vecchiaia, solidarietà, amicizia, razzismo
Target: da 14 anni, e adulti

 

L’anziano Walt Kowalski, veterano di guerra, rimane solo dopo la morte della moglie. E quando arrivano i nuovi vicini coreani…

 

DUE RECENSIONI SULLO SPLENDIDO FILM DI CLINT EASTWOOD

I personaggi di Clint Eastwood sono cambiati: sempre duri e tutti d’un pezzo sembrano intravvedere alla fine della loro vicenda un segno di speranza. “Hope” era in fatti la parola conclusiva di Changeling, la storia di una donna alla ricerca del figlio, ricerca ostacolata dalle forze dell’ordine, ma anche favorita da gente di buona volontà , un religioso, un detective, un avvocato senza il cui aiuto mai la protagonista sarebbe rimasta fedele alla propria missione. In Gran Torino il vecchio Walt Kowalski, veterano di origine polacche della guerra in Corea, ha perso tutti: gli amici al fronte; i vicini che sono morti; la moglie è mancata da poco. È solo, arrabbiato coi nuovi vicini, immigrati asiatici (di etnia Hmong, proveniente da regioni tra Laos, Thailandia e Vietnam), e soprattutto lontano dai figli che vorrebbero parcheggiarlo in una casa di riposo. Ha solo una macchina, una splendida Ford Gran Torino 1972 che non smette mai di lucidare e il proprio orgoglio. Quando però cercheranno di rubare la sua preziosa macchina, il vecchio dovrà affrontare una realtà in cui non si riconosce. Stilisticamente vicino a Gli spietati, proprio dal capolavoro western, Gran Torino è però anche molto lontano dal punto di vista del contenuto. E non solo per una speranza che pervade tutto il film ed è fatta di volti, famiglie, inviti a cena e preti tenaci che non mollano la presa fino a quando non ti converti, ma anche perché, per la prima volta nel suo cinema, Eastwood mette a tema due grandi parole: la tradizione, simboleggiata da una macchina vecchia e splendida da affidare ai posteri, e il sacrificio gratuito di sè che per la prima volta, nel cinema di Clint, genera una vita e non soltanto dolore.

 

Simone Fortunato

 

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Quella di Clint Eastwood è un’opera che lascia senza fiato. A 78 anni, e dopo Changeling, erano in molti a prevedere che Eastwood avrebbe scelto espressioni più descrittive o si sarebbe ritirato. Noi non conosciamo i piani di Clint per il futuro, ma una cosa è certa: al momento non c’è nessun altro nel panorama cinematografico mondiale in grado di competere con lui, come attore e come regista.
Ambientato nella Detroit che patisce la scomparsa delle case automobilistiche, Gran Torino inizia col funerale di una donna, la moglie di Walt Kowalski. Lui ha lavorato per una vita alla Ford, ha combattuto in Corea e non vuole lasciare la sua villetta con la bandiera che sventola sulla facciata, in un quartiere abbandonato dagli americani e ora popolato di asiatici. Walt è un uomo “tutto d’un pezzo”, che non ha bisogno di niente e di nessuno e di certo non cerca di essere accondiscendente: disprezza i due figli maschi, per come hanno educato i loro figli e perché sa che lo vorrebbero in un ricovero, rinfaccia al prete che lo viene a trovare la sua inesperienza di fronte alle tragedie della vita, sembra odiare cordialmente i vicini asiatici, che chiama senza timore “musi gialli”. Quando poi il ragazzo di questi, Thao, cerca di rubargli l’unica cosa di cui sembra realmente orgoglioso, la splendente Ford Gran Torino che conserva con cura maniacale, Walt sembra pronto a imbracciare il fucile usato in guerra e farsi giustizia da solo.
Ma la vendetta di una gang di asiatici sul ragazzino (il furto doveva essere un prova di coraggio per essere ammesso) sposta la canna del fucile di Walt, e la direzione della storia. Il rude Kowalski si alza dalla sua veranda dove è solito tracannare birra e fa la conoscenza coi vicini; impara che non sono coreani ma hmong (che vivono tra Cambogia, Laos e Vietnam), fa la conoscenza con Sue, sorella di Thao. Soprattutto inizia a sviluppare un particolare sentimento nei confronti di Thao, facendosi carico dei problemi materiali del giovane, ma anche introducendolo al mondo dei grandi, dandogli delle prospettive, comportandosi insomma come un padre. Ci sono momenti veramente toccanti e delicati nel film su questo argomento, ma la tragedia incombe. Kowalski non vive nel migliore dei mondi possibili e la ricerca della pace interiore, ben evidenziata nei dialoghi con l’insistente pretino, deve fare i conti con una realtà violenta e disumana, davanti alla quale il protagonista sarà chiamato a scelte che non lasceranno scampo.
La vita e la morte, la gioia e il dolore, il dono di sé: tutto ciò è comprensibile solo nel rapporto, ci dice Clint Eastwood. E tutti abbiamo bisogno che continui a ricordarcelo.

 

Beppe Musicco

[Fonte: Sentieri del Cinema]