di Assuntina Morresi
Avvenire, 26.01.18
La mattina del 22 giugno 2017 Inès, una ragazzina francese di 14 anni, viene trovata svenuta a casa sua: si tratta di un arresto cardiocircolatorio, con gravissimi danni cerebrali. Dal coma Inès – che era già affetta da una grave malattia neuromuscolare autoimmune – passa allo stato vegetativo. Appena un mese dopo, il 21 luglio, i medici gettano la spugna: non c’è più niente da fare, secondo loro non potrà migliorare, continuare a farla respirare e a nutrirla artificialmente è una «ostinazione irragionevole». Va lasciata morire.
I genitori però non sono d’accordo, e nasce un contenzioso. Non se ne occupa un altro collegio medico, ma un tribunale amministrativo, che deve verificare se è rispettata la procedura prevista dalla legge vigente in Francia, la Clayes-Leonetti del 2 febbraio 2016, quando dice che i trattamenti si possono sospendere se «appaiono inutili, sproporzionati e non hanno altro effetto che quello di mantenere artificialmente in vita». Trattamenti che, come specificato nella legge, includono alimentazione e idratazione artificiale. Il 7 dicembre il tribunale amministrativo di Nancy dichiara che i dottori si sono mossi coerentemente con le norme vigenti. Il 5 gennaio conferma anche il Consiglio di Stato, interpellato dai genitori della ragazza che tentano l’ultima carta, il ricorso alla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo, per scongiurare «un crimine»: così lo definisce la madre, convinta che «qui non ci sono certezze. Secondo me Inès è cosciente in alcuni momenti».
Ieri, la Corte Europea ha stabilito che «la decisione di sospendere i trattamenti nel caso di una minore in stato vegetativo è conforme alla Convenzione». E quindi i genitori hanno perso il contenzioso, e contro il loro parere i medici potranno lasciar morire Inès, “staccando la spina”, interrompendo cioè i sostegni vitali. Continua a leggere