C’è un’ora in cui il sole allenta la morsa, il sale diventa più gentile sulla pelle, il respiro delle cose è meno avido di vita. In quell’ora si fanno le scoperte migliori. Io per esempio in quest’ora scopro sempre di più che la felicità non è una condizione di pienezza, ma di desiderio. La felicità non è nel “pienessere” ma nell’apertura, non nel prendere ma nel perdere. Posso guardare ogni sera un tramonto e non sarà mai mio, per averlo lo devo perdere ogni sera. Posso leggere un libro bellissimo e nel farlo lo perdo. E ciò che cerco è sempre oltre le cose. Siamo fatti per cercare più che per possedere. E tutta quella malinconia che ci prende quando le cose finiscono o ci sfuggono è soltanto una benedizione, che ci ricorda che c’è altro, più in là, più oltre… e questa ricerca continua intensifica la vita e la rende, questa volta sì, piena.
Alessandro D’Avenia
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Oggi la Giornata della Sindrome. Down: più ricerca, meno «selezione»
Il genetista Strippoli: «Lavoriamo a una terapia metabolica, ma i fondi vanno alla diagnosi prenatale»
di Danilo Poggio –
A una sua lezione, negli anni Ottanta, era presente anche un giovane universitario al quinto anno di Medicina, che trent’anni dopo ha deciso di portarne avanti le intuizioni. Oggi Pierluigi Strippoli è professore associato di Biologia applicata e responsabile del laboratorio di Genomica del Dipartimento di Medicina specialistica, diagnostica e sperimentale all’Università di Bologna, diretto da Mauro Gargiulo. Con i moderni strumenti della genomica ha potuto confermare le intuizioni di Lejeune, nel progetto clinico-sperimentale più grande a livello nazionale, coinvolgendo 180 bambini: «Lejeune – spiega Strippoli, nella Giornata mondiale sulla Sindrome di Down, che si celebra come ogni anno il 21 marzo – era convinto che la disabilità intellettiva derivasse dall’intossicazione delle cellule cerebrali causata dall’azione del cromosoma in eccesso e pensava che solo una piccola parte del cromosoma stesso ne fosse responsabile. Effettivamente è così». Continua a leggere
La gravidanza modifica la sensibilità neurale delle madri ai segnali facciali dei neonati

Mother Child Love (Gurdish Pannu)
(dal blog L’ovvio e l’evidente)
Andare incontro alla maternità innesca cambiamenti nella struttura cerebrale delle madri che possono facilitare il legame con i loro bambini. Mentre molti studi si sono concentrati sul periodo postpartum, i ricercatori non hanno esaminato se i cambiamenti nella corteccia materna durante la gravidanza sono associati al legame postnatale. Un nuovo studio ha esaminato se la gravidanza modifica la sensibilità neurale delle madri ai segnali facciali dei neonati e se tali cambiamenti influiscano sul legame madre-bambino. Lo studio ha rilevato che le madri che mostravano una maggiore attività cerebrale in risposta alle indicazioni del viso dei neonati dalla gravidanza alla maternità riferivano legami più forti con i loro bambini dopo la nascita rispetto alle madri che non mostravano tali aumenti. I risultati, dei ricercatori dell’Università di Toronto e della Liverpool Hope University, sono pubblicati su Child Development, una rivista della Society for Research in Child Development.
Questi risultati supportano l’idea che, nel cervello, le risposte agli stimoli dei bambini cambino nel corso della gravidanza e della maternità precoce, con alcune madri che mostrano cambiamenti più marcati di altre. Questa variazione a sua volta è associata alle relazioni delle madri sui loro legami emotivi con i loro bambini. La relazione precoce tra madri e bambini è ampiamente considerata vitale per lo sviluppo dei bambini. I legami della madre con i loro bambini sono la chiave per lo sviluppo di questa relazione, e un legame forte è fondamentale per uno sviluppo ottimale. Sviluppare questo legame non è istantaneo, ma si verifica come parte di un processo che inizia spesso in gravidanza e continua nei mesi successivi alla nascita.
È stata studiata l’importanza di formare legami stretti, ma poco si sa su come questo legame possa iniziare a svilupparsi prima del parto. I ricercatori hanno intervistato 39 donne incinte di età compresa tra i 22 e i 39 anni provenienti da una serie di razze ed etnie provenienti dalla grande area di Toronto; la maggior parte delle donne era sposata e aveva una laurea o un master. Le donne hanno visitato il laboratorio due volte, una volta nel terzo trimestre di gravidanza e una volta da tre a cinque mesi dopo il parto. Continua a leggere
La lettura con i bambini in età prescolare migliora il linguaggio di otto mesi
dal blog Orme svelate
Uno studio dimostra che i genitori che leggono regolarmente con bambini piccoli danno loro un vantaggio linguistico di otto mesi. Un gruppo di esperti ha scoperto che le abilità linguistiche ricettive – la capacità di comprendere le informazioni – sono influenzate positivamente quando i bambini in età prescolare leggono con qualcuno a cui sono affezionati. Hanno effettuato una revisione sistematica degli studi di intervento di lettura degli ultimi 40 anni, utilizzando sia un libro o lettori elettronici e in cui la lettura è stata effettuata con un genitore o un accompagnatore.
Nel rapporto, finanziato dalla Nuffield Foundation, i ricercatori stavano cercando effetti sul linguaggio ricettivo (comprensione), linguaggio espressivo (padronanza del vocabolario e della grammatica) e abilità pre-lettura (come le parole sono strutturati). I risultati sono stati positivi per ogni categoria, ma la più grande differenza è stata con le competenze linguistiche ricettive. La revisione ha mostrato che i bambini socialmente svantaggiati hanno avuto un beneficio leggermente maggiore rispetto ad altri. Mentre sapevamo già che leggere con i bambini piccoli è vantaggioso per il loro sviluppo e per le successive prestazioni accademiche, il vantaggio di otto mesi che questa revisione ha identificato è stato sorprendente. Otto mesi sono una grande differenza nelle competenze linguistiche quando si guardano i bambini sotto i cinque anni. Il fatto che si sia visto un effetto con le competenze linguistiche ricettive è molto importante. Questa capacità di comprendere le informazioni è predittiva delle successive difficoltà sociali ed educative. E la ricerca suggerisce che sono queste le abilità linguistiche che sono più difficili da cambiare. L’età media dei bambini coinvolti nei 16 studi inclusi nella revisione, è stata di 39 mesi e la revisione ha esaminato studi di cinque paesi: Stati Uniti, Sud Africa, Canada, Israele e Cina. Continua a leggere
Topi umanizzati: i “progressi” della ricerca
(da notizie provita)
LifeNews ci informa di un nuovo contratto stipulato negli USA che ha ad oggetto l’impiego di parti del corpo di bambini abortiti per il trapianto nei cosiddetti “topi umanizzati”. Ne abbiamo già parlato con riferimento a Planned Parenthood e al National Institute for Health. Ora spunta anche la Food and Drug Administration (l’ente governativo statunitense per la regolamentazione del mercato dei prodotti alimentari e farmaceutici). Gli esperimenti consentono ai topi di avere un sistema immunitario umano funzionante a scopo di ricerca.
Dalla nota precontrattuale resa pubblica risulta che «i tessuti umani freschi sono necessari per l’impianto in topi gravemente immuno-compromessi per creare animali chimerici che abbiano un sistema immunitario umano». Lo scopo dichiarato di questa ricerca è di arrivare a curare disturbi neurologici umani. Potrebbero usare tessuti provenienti da fonti “etiche” come ad esempio i resti di un aborto spontaneo, ma non lo fanno. Per quale motivo? Perché, oltre al discorso quantitativo (gli aborti spontanei in gravidanza avanzata sono rari), i centri di ricerca sono alla ricerca di specifiche parti del corpo che possono essere “garantite” solo se durante la procedura di aborto il medico le lascia intatte volontariamente…
Una buona notizia, almeno, giunge dall’università del New Mexico che ha annunciato l’interruzione del suo programma di sperimentazione che coinvolgeva feti abortiti. Il merito è dell’attivista pro life Tara Shaver dell’associazione Abortion Free New Mexico, che ha sporto denuncia contro la Southwestern Women’s Options, l’organizzazione che forniva i resti fetali da impiegare nella ricerca: il tutto, infatti, avveniva attraverso procedure abortive illegali che si concludevano nella vendita dei corpicini abortiti, che è reato federale. Continua a leggere
Nasce la Fondazione Charlie Gard
Debora Donnini-Città del Vaticano
Avrebbe compiuto 1 anno solo una settimana dopo il piccolo Charlie, a cui il 28 luglio dello scorso anno venne interrotta la respirazione artificiale e così morì. Una vicenda che commosse il mondo: si verificò una battaglia legale di mesi tra i medici dell’ospedale londinese dove era in cura, da una parte, e, dall’altra, i genitori che volevano tentare una cura sperimentale. Una possibilità che gli venne negata da varie sentenze delle Corti britanniche, che avallarono la linea dell’ospedale. Da Papa Francesco al presidente degli Sati Uniti, Donald Trump, alle piazze fino ai Social si levarono appelli perché al piccolo fosse data una chance.
Alla fine, il danno muscolare sembrava troppo avanzato e i genitori a quel punto rinunciarono alla battaglia legale non senza denunciare i ritardi e ribadendo che si dovesse intervenire subito per tentare il tutto per tutto per salvare il piccolo: troppo tempo era stato perso. Una vicenda che, tra l’altro, non per il tipo di malattia, ma per la battaglia legale, la questione del miglior interesse e della qualità della vita, ricorda le successive storie di altri due bimbi inglesi: Isaiah Hastrup e Alfie Evans.
La Charlie Gard Foundation
Ora la missione con cui nasce la Fondazione Charlie Gard è quella di migliorare la qualità della vita dei malati mitocondriali, in modo specifico. Lo farà sia attraverso la ricerca innovativa sia attraverso il sostegno familiare. L’obiettivo è fornire speranza di un futuro migliore per questi bambini e di trovare cure nuove per determinati ceppi della malattia genetica, spiega Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast onlus, che ha collaborato e supportato i genitori dei tre bambini. Di Leo, tra l’altro, ci racconta che Chris e Connie sono molto riconoscenti all’Italia per quanto ha fatto per questi bambini malati. Continua a leggere
Ospedale Bambino Gesù. «Nel nostro nuovo farmaco una vittoria per tutti gli Alfie»
Ricercatori di 4 ospedali hanno messo a punto la terapia che ferma una patologia neurologica sinora letale. Parla Nicola Specchio, neurologo responsabile di Epilessie rare e complesse del Bambino Gesù
(Avvenire, 4.05.18)
Per i bambini affetti da una particolare malattia degenerativa che porta alla distruzione del sistema nervoso centrale, la ceriodolipofuscinosi neuronale di tipo 2 (Cln2), è stata finalmente trovata una cura. Grazie a una ricerca multicentrica pubblicata sul New England Journal of Medicine e condotta da quattro strutture internazionali tra le quali l’Ospedale Bambino Gesù, è stato messo a punto un farmaco in grado di bloccare l’evoluzione della malattia. «Lo studio è durato 3 anni – spiega Nicola Specchio, neurologo responsabile di Epilessie rare e complesse dell’ospedale pediatrico vaticano – e ha coinvolto 23 bambini di varie nazionalità affetti da Cln2 allo stadio iniziale- intermedio».
Come si manifesta la malattia?
Questa patologia recessiva a trasmissione genetica causa la mancanza di un enzima nel nostro organismo e determina una serie di sintomi, quali crisi epilettiche, disturbo motorio, perdita dell’abilità motoria, perdita di capacità di linguaggio, disturbo visivo, fino alla cecità. I bambini che ne sono affetti hanno una progressione della malattia molto rapida. Nell’arco di 10-12 anni si verifica il decesso.
Come funziona la nuova cura?
Attraverso la terapia è possibile rimpiazzare l’enzima che manca in questi bambini. Viene somministrato direttamente nel cervello. I bambini che sono stati trattati hanno mostrato un arresto della malattia, con tassi di successo pari al 90 per cento. La terapia ha già ottenuto l’approvazione degli enti preposti. Già ora altri bambini nel mondo stanno beneficiando della sua efficacia documentata. Nel nostro ospedale attualmente ne sono in cura 12. Continua a leggere
Embrione umano, il diritto riaffermato
La sentenza della Corte di Strasburgo: embrione umano, il diritto riaffermato
di Francesco Ognibene
(Avvenire, 28 agosto 2015)
La vita umana non è un oggetto. È talmente facile a constatarsi che è capace di osservarlo anche un bambino. Anzi, uno sguardo privo delle complicazioni adulte – filosofiche o giuridiche – riconosce a prima vista quel che un essere umano è, sin da quando inizia a pulsare in lui la vita. E rifiuta d’istinto ogni contraffazione che induca a dire qualcosa di diverso da quanto l’esperienza detta ai sensi e all’intelletto.
La realtà s’impone a chi non ha scelto di voltare la testa dall’altra parte. Ma non sempre riesce a spuntarla quando s’intromettono talune sofisticate costruzioni di legge, non più scudo del più fragile ma strumento di sopraffazione, che sotto la tutela di argomenti nobili (autodeterminazione, libertà, diritti individuali) depistano l’osservazione dei fatti fino a rovesciarne la stessa percezione. E a depredare la persona della sua dignità nativa volgendola in una cosa consegnata nelle mani del più astuto. Continua a leggere
Lettera di un bambino speciale
Pubblichiamo di seguito una lettera “idealmente” scritta da un bambino speciale.. e bellissimo!
Ringrazio la sig.ra Carla per averla voluta condividere con noi.
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Ciao, mi chiamo Pietro e sono nato il 7 gennaio 2013.
Appena venuto alla luce, già in sala parto i medici hanno capito che ho la sindrome di Down e dopo pochi giorni che avevo anche gravi problemi al cuore e all’intestino. Ora, dopo tanti mesi di ospedale nutrito con il sondino naso-gastrico e due pesanti operazioni, sto bene e tutti mi dicono che sono la GIOIA di tutta la mia famiglia, fratellini e nonni compresi. Dicono anche che con la mia dolcezza tiro fuori il meglio dai loro cuori….. Continua a leggere
Cellule staminali adulte o embrionali? Cosa dice la ricerca, 10 anni dopo il dibattito in Italia
Circa dieci anni fa iniziava in Italia un dibattito infuocato sulla fecondazione assistita, andato avanti per mesi, fino al referendum del 12 giugno 2005.
Molti si ricorderanno l’effetto surreale di vedere all’improvviso politici, opinionisti, giornalisti, attori, starlette, scontrarsi…. sulla ricerca sulle cellule staminali. E molti si ricorderanno il furore con cui veniva argomentata la necessità di usare embrioni umani per ottenere cellule staminali totipotenti – ossia con il grado massimo di “plasticità” –per il progresso della scienza e il bene dell’umanità…
Il dibattito sull’uso – folle e disumano – di embrioni umani a scopi di ricerca si è nel frattempo parecchio affievolito. Non certo per questioni etiche, ma semplicemente per il fatto che la ricerca con le cellule staminali “adulte”, ossia ricavate da altri tessuti e non dallo smembramento di un essere umano in fase embrionale, ha galoppato, dimostrandosi una strada di gran lunga più percorribile e fruttuosa per la stessa medicina. Continua a leggere
Sla, più ricerca non solo secchiate
Mario Melazzini, medico e direttore del Centro Nemo di Milano «La malattia, da maledizione a possibilità nuova di vita piena»
Mario Melazzini è assessore alle Attività produttive della Regione Lombardia e direttore del centro clinico Nemo di Milano specializzato nella cura dei malati di Sla, Sclerosi laterale amiotrofica. Lui stesso è affetto da questa grave malattia da 11 anni, cioè da quando ne aveva 45, era un oncologo di fama e un appassionato alpinista. «Nel bel mezzo di una vita gratificante – racconta – mi sono scontrato col limite della malattia. Proprio a me, che ero medico per cercare di sconfiggere le patologie, veniva diagnosticata una malattia come la Sla, patologia che mi poneva di fronte all’impotenza della medicina e per la quale non esisteva una cura. Continua a leggere
Embrioni e ricerca, legge 40 sotto esame in Europa
Non c’è solo la Corte Costituzionale. La legge 40 è attesa a un nuovo esame mercoledì: la Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo deve infatti pronunciarsi sulla possibilità di donare alla ricerca embrioni prodotti in vitro e avanzati da cicli di fecondazione artificiale. Ovvero, deve decidere se l’embrione sia un essere umano portatore di diritti o una cosa su cui è permessa la sperimentazione. Il caso in esame è il n. 46470/11, «Adelina Parrillo vs. Italia».
Parrillo è vedova da oltre dieci anni di Stefano Rolla, deceduto nell’attentato di Nasiriyah, col quale aveva concepito in vitro 5 embrioni crioconservati in un ospedale di Roma. A seguito della morte del proprio compagno, ha quindi chiesto nel 2005 di “donarli alla scienza”. Per asserire la validità di questa sua opzione, in Italia proibita dalla legge 40 che all’articolo 13 vieta la distruzione di ogni embrione in provetta perché «soggetto titolare di diritti», la donna ha rimarcato il suo diritto di proprietà sugli embrioni concepiti e ha evidenziato la qualificazione dell’embrione come “una cosa”. Nel ricorso, inoltre, si sostiene che gli embrioni erano stati prodotti prima dell’entrata in vigore della legge 40. Continua a leggere
Quel volto nascosto in tutto ciò che è bello
di Giovanni Fighera
Qual è l’«utilità» della bellezza nella nostra vita? Qual è il legame tra il bello e la civiltà, tra il bello e le altre discipline, tra il bello e le dimensioni concrete dell’esistenza? Affermare che la bellezza sia «disinteressata» coincide con l’attestazione della inutilità della bellezza?
Iniziamo col dire che la bellezza ha una suprema funzione educativa. Se, infatti, il bello produce sull’uomo l’effetto della contemplazione, allora esso ci educa a cogliere la realtà per quella che è, per il suo valore estrinseco. Di fronte al bello, l’uomo è portato, come primo, iniziale e puro impeto, a contemplarlo: è, quindi, educato a trasformare l’amore di concupiscenza in amore per l’oggetto in sé stesso. Questo sguardo puro, distaccato e contemplativo di fronte alla bellezza del reale si chiama verginità. Continua a leggere
La miglior prevenzione contro la droga è la famiglia
Sarà pure in crisi e in declino rispetto a qualche decennio fa; sarà pure – come sostengono alcuni – un modello di vita arcaico e superato, ma oltre a garantire stabilità affettiva fra i partner ed essere il luogo privilegiato per l’educazione e la crescita dei figli, la cara vecchia famiglia è anche alla base, più di qualsivoglia programma scolastico o di sensibilizzazione, della più efficace prevenzione del consumo di droghe fra i giovani. Una banalità, si potrebbe dire. Continua a leggere