Roe vs. Wade (1973): la vera storia di Jane Roe, alias Norma McCorvey

Norma McCorvey

Norma Leah McCorvey nasce a Simmesport, in Louisiana, il 22 settembre 1947. I suoi genitori, di origini Cherokee e Cajun, vivono un rapporto tormentato, che culmina nella separazione e si riflette pesantemente sull’equilibrio psicologico ed emotivo della figlia.
Norma, che non concluderà mai le scuole medie, trascorre parte della sua adolescenza in un riformatorio texano, abusa di alcol e droga, ha rapporti sessuali disordinati con partner di entrambi i sessi e in un’occasione viene stuprata. A 16 anni si sposa con un violento dal quale ha due figlie, affidate rispettivamente al padre e alla madre.
Giunta nel 1969 alla terza gravidanza, questa personalità borderline viene adescata a Dallas da un team di avvocatesse, capitanate da Sarah Weddington, che portano il suo caso pietoso in tribunale al fine di creare il precedente che introdurrà l’aborto libero negli Stati Uniti: per ottenere lo scopo la Weddington non esita a sostenere che “Jane Roe” (questo lo pseudonimo attribuito a Norma durante l’azione legale) è rimasta incinta a seguito di uno stupro di gruppo.

Mentre i giornalisti cercano, senza successo, di scoprire chi si celi realmente dietro il nome fittizio di Roe, la causa approda di fronte alla Corte Suprema. Il 22 gennaio 1973 viene emessa la celeberrima sentenza “Roe vs. Wade(Henry Wade è il nome del procuratore distrettuale di Dallas), che spalanca la porta ai circa 50 milioni di aborti legali eseguiti negli Stati Uniti da quel giorno ad oggi.
Nel frattempo, curioso a dirsi, “Jane Roe” non abortisce affatto: tre anni prima della sentenza ha infatti partorito la sua terza bambina, data anch’essa in adozione. La relazione con il marito è presto terminata, la Weddington non si è più fatta sentire (“Sarah mi promise di rimanermi vicina, di farsi viva quando sarebbe nata la piccola, invece mi abbandonò”): la vita di Norma McCorvey prosegue, squallida e ignorata come prima, tra alcolismo, lavori saltuari e una lunga e non dissimulata relazione lesbica.

Nel 1989 avviene una prima, parziale svolta: Norma viene rintracciata da un’altra avvocatessa, Gloria Allred, californiana, che fa di lei un personaggio pubblico. Norma-Jane diventa la paladina dei movimenti femministi e abortisti americani, i quali non cessano di strumentalizzarla: “ero ignorante, bestemmiavo, non mi sapevo vestire, non potevo appartenere al mondo delle giovani laureate di Vassar e di Harvard, che durante una marcia per l’aborto, a Washington, mi tennero nascosta tra la folla. Scandivano il nome di ‘Jane Roe’ ma preferivano restassi nella retroguardia”.
Agli attivisti abortisti serve solo un nome, quello di Jane Roe: all’impresentabile Norma McCorvey viene offerto un posto da tuttofare in una clinica per aborti, dove la sciagurata tossicodipendente rassicura le clienti che quello che portano in grembo non è un bambino “ma solo una mestruazione mancata”.
Nel frattempo si gira una miniserie televisiva sulla sua storia e, nel 1994, esce l’autobiografia I am Roe (“Io sono Roe”, ndr). Proprio durante una presentazione del libro avviene il primo incontro con l’attivista pro-life Philip “Flip” Benham, pastore metodista, che in quell’occasione la accusa, gridando, di essere “responsabile delle morti di più di 33 milioni di bambini” (quelli uccisi dalla sentenza del 1973 fino ad allora, ndr).

Il lavoro presso la clinica ha cominciato da qualche tempo a diventare psicologicamente sempre più gravoso. “Quando andavo nella cella frigorifera e vedevo i pezzi, le gambe e le teste dei feti conficcati a quattro o cinque in una giara, tornavo a casa e mi ubriacavo”. Come se ciò non bastasse, nel marzo 1995 il Rev. Philip Benham trasferisce la sede di Operation Rescue, la sua organizzazione antiabortista, in una locazione adiacente alla clinica di Norma, che viene colpita nel profondo dalla serenità e dalla dedizione degli attivisti pro-life ai princìpi del cristianesimo.

Nel giro di pochissimo tempo Norma McCorvey comprende di avere sbagliato tutto e decide di cambiare vita, abbandonando i vizi e convertendosi alla religione cristiana con una cerimonia battesimale officiata dallo stesso Benham in una piscina, al cospetto delle telecamere, l’8 agosto 1995 (il cammino di Norma verso la verità conoscerà alcuni anni dopo un’ulteriore e definitiva svolta, con l’abbandono del metodismo e l’ingresso nella Chiesa cattolica).

Le sue opinioni circa l’aborto si fanno sempre più critiche. Nel 1998 esce un nuovo libro, Won by Love (“Vinta dall’Amore”, ndr), il cui frontespizio recita: “questo libro è dedicato a tutti i bambini che sono stati fatti a pezzi con l’aborto. Vi chiedo scusa perché non siete più qui, ma ora siete in Paradiso con nostro Padre. E a tutte le donne che, a causa dell’aborto, hanno avuto le loro vite cambiate. La Grazia meravigliosa può guarire il vostro cuore e anche voi potete essere vinte dall’amore”. Oggi Norma McCorvey ha quasi sessant’anni ed è una delle più note militanti antiabortiste degli Stati Uniti.

[Fonte: Libertà e Persona – febbraio 2011]

 

LA DONNA CHE PORTO’ L’ABORTO LEGALE NEGLI USA è OGGI CATTOLICA E PALADINA PRO-LIFE
 
Il 23 gennaio 2011 negli USA è stato ricordato il 38° anniversario dell’introduzione dell’aborto legale. Ne approfittiamo per raccontare che il caso che spianò la strada alla legalizzazione della pratica abortiva, cioè quello di Jane Roe (pseudonimo di Norma McCorvey). Nel 1973 la Corte Suprema le concesse infatti la libertà di abortire e divenne così la bandiera del femminismo e del laicismo americano. Essendo lesbica, per molti anni visse con la sua compagna, Connie Gonzales, a Dallas (qui una sua intervista del 28/7/1994 del New York Times).

Ma nel 1995 qualcosa di incredibile accadde. Lo raccontò lei stessa nel suo libro “Won by Love” (1998): «Ero seduta in un ufficio, quando ho notata un poster con uno sviluppo fetale. La crescita del feto era così evidente, gli occhi erano così dolci. Il mio cuore mi faceva male solo a guardali. Sono corsa fuori dalla stanza e mi sono detta: “Norma, hanno ragione”. Qualcosa in quel poster mi ha fatto perdere il respiro, continuavo a vedere l’immagine di quel piccolo embrione di 10 settimane, e non ho potuto non dire: “questo è un bambino”.
E’ come se un paraocchi mi fosse caduto gli occhi, ho capito subito la verità: è un bambino! Mi sentivo schiacciata sotto la verità di questa realizzazione. Ho dovuto affrontare una realtà terribile: l’aborto non si trattava di un “prodotto del concepimento” o di “periodo mancato”. Si trattava di bambini uccisi nel grembo della madre. In tutti quegli anni mi ero sbagliata. Tutto il mio lavoro nelle cliniche abortiste era sbagliato. Divenne chiaro, dolorosamente chiaro» (da www.leaderu.com).

Nello stesso anno, Norma si convertì al cristianesimo e venne battezzata l’8/8/1995, evento che fu ripreso dalla telecamere di una televisione nazionale.
Esprimendo rimorso per il suo coinvolgimento nella decisione della Corte Suprema, iniziò a collaborare con l’ente Operation Rescue per rendere l’aborto illegale.
Il 21/6/1996 Norma McCovery annunciò di non essere più lesbica e il 15/6/1998 la McCorvey rilasciò una dichiarazione nella quale rese pubblica la volontà di entrare nella Chiesa cattolica: «Dopo molti mesi di preghiera e molte notti agitate, faccio l’annuncio gioioso che oggi ho deciso di unirsi alla Chiesa Madre del cristianesimo, con questo naturalmente intendo la Chiesa cattolica romana».
Anche Giovanni Paolo II venne avvertito di questo fatto.

Dal 2005 Norma McCorvey sta tentando di rovesciare la famosa decisione del 1973 della Corte Suprema, che, a causa sua, permise l’introduzione dell’aborto legale negli Stati Uniti. Su Priestforlife si può trovare tutta la sua biografia, le sue interviste e le sue dichiarazioni.
 
[Fonte: UCCR – 21 febbraio, 2011]
 

Qui sotto un documentario sulla sua storia, trasmesso dalla televisione americana