
Sta generando indignazione la notizia dell’ennesimo caso di quella cancel culture che pervade ormai ogni aspetto della cultura occidentale, e consistente nella revisione di frasi o termini considerati sessisti, razzisti, veicolo di stereotipi, diseducativi e via elencando.
Di seguito un articolo da Avvenire di oggi, che riflette sul non senso di questa operazione linguistica e sull’opportunità di pensare, invece, ad alternative ben più ragionevoli e intelligenti per educare i bambini e trasmettere loro messaggi positivi.
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Non accenna a placarsi la polemica relativa alla decisione editoriale di sottoporre i libri di Roald Dahl a un’attenta revisione linguistica. Correzioni imposte – questa l’accusa – da un “politicamente corretto” sempre più invasivo e da una cancel culture che tende ormai a non risparmiare più nulla e nessuno. Compreso, ora, lo scrittore britannico di origini norvegesi, scomparso nel 1990 all’età di 74 anni, uno dei più amati per bambini e ragazzi. La presenza di modifiche nelle nuove edizioni verrà d’ora in poi segnalata da una breve nota inserita nel colophon di ciascun libro: « Le parole sono importanti. Le magnifiche parole di Roald Dahl possono trasportare in mondi diversi e far conoscere personaggi meravigliosi. Questo libro è stato scritto tanti anni fa e quindi ne rivediamo regolarmente il linguaggio per assicurarci che possa essere apprezzato da tutte le persone anche oggi». Eppure la decisione di Puffin Books (branca del colosso editoriale Penguin), condivisa con gli eredi dell’autore, ha suscitato un polverone. Uno che di violenza censoria sa qualcosa, Salman Rushdie, ancora convalescente dalle conseguenze dell’attentato subìto l’anno scorso a New York (che gli è costato un occhio e l’uso della mano sinistra), ha twittato: «Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura, Puffin Books e gli eredi di Dahl dovrebbero vergognarsene».
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